Innovazione

Stop ChatGPT, primo incontro tra Garante per la Privacy e OpenAI: intanto nascono alternative (italiane) e mosse per aggirare il divieto

04
Aprile 2023
Di Simone Zivillica

ChatGPT era troppo bello per essere vero? Secondo il Garante per la Privacy sì. O meglio, per il Garante ChatGPT non è bello per niente, tant’è che è stato bloccato il suo utilizzo in Italia. ChatGPT rimarrà offline finché non adeguerà i suoi standard di utilizzo e protezione dei dati degli utenti a quelli richiesti dalla compliance alla GDPR. Da qualche giorno, quindi, chiunque abbia avuto una domanda, più o meno sagace, più o meno utile, da porre all’algoritmo conversazionale in grado di produrre temi, tesine, articoli giornalistici, mini-sceneggiature, dare curiosità in forma scritta, si trova davanti lo screensaver della pagina di ChatGPT bloccata. Nella serata di oggi ci sarà un primo incontro tra l’autorità Garante e la società californiana che detiene ChatGPT, OpenAI. A breve, infine, anche i tedeschi potrebbero fare esperienza di ciò che è già avvenuto in Italia: intervenendo sul quotidiano finanziario Handesblatt, infatti, il Garante tedesco per la privacy non ha escluso di poter intraprendere la stessa strada dei colleghi italiani.

Perché ChatGPT è stata bloccata

Nel provvedimento in atto da sabato scorso, il Garante per la privacy ha rilevato “la mancanza di un’informativa agli utenti i cui dati vengono raccolti da OpenAI, ma soprattutto l’assenza di una base giuridica che giustifichi la raccolta e la conservazione massiccia di dati personali, allo scopo di ‘addestrare’ gli algoritmi sottesi al funzionamento della piattaforma”. Il problema non sarebbe, quindi, tanto di forma, ma piuttosto di sostanza. Quello che il Garante della privacy contesta a ChatGPT è proprio il suo sistema di funzionamento, che si basa per sua stessa natura sull’accumulo dei dati inseriti dagli utenti, che maneggia per dare risposte coerenti e informative su quella che è stata la domanda dell’utente finale. Inoltre, nota sempre il Garante della privacy, “le informazioni fornite da ChatGPT non sempre corrispondono al dato reale, determinando quindi un trattamento di dati personali inesatto”. Infine, altro fallo non trascurabile ed evidenziato dal Garante è l’assenza di una regolamentazione per i minorenni: “l’assenza di qualsivoglia filtro per la verifica dell’età degli utenti esponga i minori a risposte assolutamente inidonee rispetto al loro grado di sviluppo e autoconsapevolezza”, conclude il Garante della privacy in una nota.

Già qualcosa, tuttavia, si muove sul fronte del confronto e del dialogo tra la società californiana e l’Autorità italiana. Sarà in videoconferenza nella serata di oggi, come anticipato poco sopra, l’incontro tra i rappresentanti di OpenAI e il Garante per la privacy. Ad annunciarlo è stata l’Autorità stessa in una nota, in cui si legge che “l’iniziativa fa seguito alla lettera con cui la società statunitense ha risposto al Garante per esprimere la propria disponibilità immediata a collaborare con l’Autorità italiana al fine di rispettare la disciplina privacy europea e giungere a una soluzione condivisa in grado di risolvere i profili critici sollevati dall’Autorità in merito al trattamento dei dati dei cittadini italiani”. Saranno, quindi, tutti da vedere gli sviluppi di questo primo contatto, ma certamente il pressoché immediato avvicinamento tra OpenAI e il Garante per la privacy è una notizia positiva.

Come funziona(va) ChatGPT?

La qualità dei contenuti prodotti da ChatGPT, va detto, non sono ancora a un livello adatto a un utilizzo professionale della scrittura – soprattutto in lingua italiana: diverso è, infatti, se si interpella l’IA in inglese, essendo molto più ampio il mare di informazioni da cui pescare. O meglio, dipende proprio dall’utilizzo. Sarà molto difficile che un contenuto generato completamente da ChatGPT sia direttamente utilizzabile per un articolo di giornale di buon livello, per esempio. Necessiterà, quel contenuto, di aggiustamenti e rivoluzione della sintassi. Stesso discorso per la ripetizione delle parole chiave. I motori di ricerca, Google in testa, infatti, hanno da subito messo in campo la tecnologia adatta a non farsi ingannare da SEO-oriented-content generati in toto dall’intelligenza artificiale come quella di ChatGPT. La creatività, almeno in questo aspetto, è ancora salva e ancora ad appannaggio umano.

Allo stesso tempo, però, è indubbio quanto ChatGPT, soprattutto nella sua versione a pagamento, sia di aiuto a vari tipi di content creator, da coloro che creano video per le piattaforme social, a chi scrive i copy per professione sui post social delle aziende che ha in gestione. Se in grado di utilizzarlo con intelligenza, reale, non artificiale, ChatGPT – e tutti i simili più o meno performanti – sono sicuramente un aiuto a molte imprese nel quotidiano.

Da ChatGPT a PizzaGPT

Se il divieto è posto in Italia, non poteva che essere un italiano a trovare un modo per sfruttare il blocco di ChatGPT nei confini nazionali. Lo ha potuto fare perché è un italiano che vive all’estero ma soprattutto perché è un software engineer italiano che lavora in Svizzera. Lorenzo Cella ha preso la palla al balzo e ha sviluppato in un paio di giorni un chatbot che utilizza gli stessi meccanismi di base di ChatGPT e lo ha chiamato ironicamente PizzaGPT. L’ingegnere ha annunciato il lancio della sua creatura artificiale a mezzo del suo profilo Twitter. Sul sito, invece, si può consultare un breve Q&A dove Cella chiarisce alcuni dei punti. Innanzitutto, spiega che la tecnologia utilizzata è “si basa sullo stesso modello di ChatGPT (turbo-3.5) e usa le API di OpenAI, che sono a pagamento”. Inoltre, l’ingegnere spiega il suo punto di vista sul blocco di ChatGPT in Italia: “considero l’AI una tecnologia rivoluzionaria e vorrei che fosse accessibile a tutti. Trovo stupido e controproducente che OpenAI abbia deciso di chiudere l’accesso a ChatGPT agli Italiani. L’Italia ha bisogno di restare al passo con il resto del mondo, e l’AI è una tecnologia che può aiutare il nostro Paese a crescere”.

Infine, c’è anche un tasto per le donazioni e sempre Lorenzo Cella ci spiega perché occorrono: “ogni volta che qualcuno fa una domanda a PizzaGPT, questo implica una spesa di qualche centesimo per le API da parte mia. Attualmente ci sono migliaia di utenti che utilizzano PizzaGPT. Le donazioni sono solo un modo per cercare di coprire le spese e mantenere attivo il progetto”. Le donazioni serviranno, in sintesi, per far crescere e consolidare la tecnologia del sistema, che purtroppo al momento non sembra proprio al passo con i tempi. Secondo PizzaGPT, infatti, Mario Draghi è ancora Presidente del Consiglio italiano e la Francia è sì Campione del Mondo di calcio, ma solo del 2018, non del 2022.

Se in un primo momento, nonostante i risultati non fossero entusiasmanti, i numeri del sito messo in piedi in poche ore da Cella sono stati in costante e rapidissima crescita, è di pochi minuti fa la notizia che PizzaGPT è sotto attacco. Sempre tramite il suo profilo Twitter, l’ingegnere italiano ha informato i suoi follower che PizzaGPT è stato preso di mira da ieri notte da attacchi DDoS, che sta per Distributed Denial of Service, ovvero un tentativo ostile di bloccare il normale traffico di un server, servizio o rete sopraffacendo la vittima o l’infrastruttura circostante inondandola di traffico Internet.

Fatto il divieto, ecco come aggirarlo

Gli italiani, quindi, non possono più accedere a openAI e utilizzare il suo ChatGPT, che sia per lavoro o per divertimento, per avere una mano – anche se poco morale – per finire i compiti a casa o scrivere una mail a un collega poco simpatico. Vero, ma non verissimo. Se, infatti, PizzaGPT fosse ancora troppo poco, o se non riuscisse a migliorare abbastanza nelle prossime settimane, si potrebbero utilizzare vari metodi per continuare a servirsi delle risposte dell’algoritmo conversazionale più in voga al momento. Il metodo più veloce ed efficiente è quello di creare un account sul web-tool o app Poe, un service che permette di utilizzare ‘da remoto’, e quindi senza passare per geolocalizzazione o altri passaggi richiesti qualora si entrasse direttamente su ChatGPT, alcune applicazioni. Tra queste c’è anche ChatGPT che funziona regolarmente ancora anche qui in Italia.

Un altro metodo molto utilizzato quando occorre nascondere la propria localizzazione geografica, è l’utilizzo di una VPN, che sta Virtual Private Network e agisce celando l’indirizzo IP rendendo inaccessibili i dati privati e le informazioni della navigazione sia nel caso si utilizzasse una rete privata, sia se ci si collegasse a un Wi-Fi pubblico. Attivando un’estensione come NordVPN, ExpressVPN o Surfshark sarà, quindi, possibile non solo continuare a utilizzare ChatGPT, aggirando il blocco geografico imposto dal Garante, ma anche di farlo tenendo protetti i nostri dati sensibili, paradossalmente andando proprio a rispondere de facto ad alcune delle richieste del Garante stesso.

Quanto ha pesato lo stop a ChatGPT per le aziende?

Gli investimenti nel campo dell’intelligenza artificiale prima, e direttamente in CHatGPT poi, hanno subito un’accelerazione vertiginosa negli ultimi mesi. Le sue applicazione, infatti, sono innumerevoli e sono moltissime le aziende che hanno già cominciato a investire in questa tecnologia per integrarla nei propri servizi. Lo stop secco di 20 giorni inflitto dalle autorità italiane a ChatGPT, quindi, non è di certo ben accolto e si è in attesa di futuri e veloci sviluppi. Basti pensare che il suo utilizzo è già realtà in aziende importanti. Un caso interessante, anche perché correlato con la protezione dei dati degli utenti, è quello della compagnia assicurativa svizzera Helvetia. Gli svizzeri di Helvetia, infatti, hanno introdotto un chatbot che funziona grazie alla tecnologia di ChatGPT per dare risposte agli utenti della sua app. Interpellati da Wired, l’azienda svizzera ha chiarito che “Helvetia utilizza la tecnologia ChatGTP solo per generare risposte basate sui contenuti web di Helvetia Svizzera. Oltre alla richiesta specifica, trasferiamo quindi a OpenAI solo informazioni accessibili al pubblico provenienti dalle nostre fonti. La protezione dei dati è quindi adeguatamente garantita in conformità alla legislazione svizzera”.