Politica

La riforma del Patto di Stabilità secondo Cottarelli e Bini Smaghi

24
Agosto 2022
Di Giampiero Cinelli

La spinta verso la riforma dei trattati che regolano l’Unione Europea è tornata a farsi sentire. Il 9 giugno il Parlamento ha dato il via libera alla risoluzione che fa seguito alle conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa, chiedendo che nei vertici dei ministri europei sia presa in analisi la richiesta di convocare una convenzione, per la revisione dei trattati dell’Ue per portare avanti riforme quali l’abolizione dei poteri di veto e l’espansione dei poteri dell’Unione in materia di salute, energia, difesa e politiche sociali ed economiche. Nel vivo soprattutto il dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità, attualmente sospeso fino al 2023. Ma è probabile una proroga al 2024 a causa del conflitto in Ucraina. Tra il 2020 e il 2021 la Commissione Europea, a latere dei confronti nelle sedi ufficiali, ha lanciato un sondaggio chiedendo a cittadini e organizzazioni suggerimenti e pareri. A partecipare al sondaggio è stato anche l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (CPI) diretto da Carlo Cottarelli. L’istituto ha elaborato un’analisi generale e una serie di proposte, di cui vi proporremo degli estratti.

Va sottolineato che più del 60% degli intervistati è favorevole ad avere delle regole che assicurino la stabilità delle finanze pubbliche. La maggior parte ritiene però che debbano essere modificate: circa metà dei partecipanti ritiene che le regole del deficit e del debito debbano stabilire degli obiettivi specifici per ogni paese e non comuni a tutti (come peraltro proposto anche dal nostro Osservatorio, almeno in termini di velocità di convergenza verso l’obiettivo). Inoltre, la regola del debito, unica per tutti i membri, ha come obiettivo un valore (60 per cento) stabilito 30 anni fa, ora ritenuto da molti anacronistico.

Tre quarti dei partecipanti approva l’incentivo gli investimenti pubblici. Tre quarti degli intervistati ritengono che maggiori investimenti pubblici siano fondamentali per l’UE. Per questo viene suggerito di non considerare alcune categorie di investimento nell’applicare le regole fiscali. Tra questi rientrerebbero gli investimenti per la transizione digitale ed ecologica.

Nel documento redatto da Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli, si propone di creare maggior capacità fiscale a livello centrale attraverso un bilancio europeo che possa andare in deficit e centralizzando alcuni elementi di tassazione e spesa che potrebbero giocare un ruolo anticiclico (cioè invertire il ciclo economico, se negativo). Dunque i due studiosi vanno a un punto molto discusso negli ultimi anni. Quello relativo agli investimenti pubblici: la richiesta di escludere la spesa per investimenti pubblici dalle regole fiscali (cioè il bilancio) presenta almeno tre criticità. In primo luogo, non tutto l’investimento pubblico è positivo, così come non tutta la spesa corrente è negativa (ad esempio: istruzione, ricerca, sanità sono voci di spesa corrente). Secondo, l’esclusione degli investimenti pubblici dalle regole potrebbe generare incentivi per modificare la spesa corrente in spesa per investimenti. Ad esempio, il governo potrebbe sostenere un determinato settore attraverso trasferimenti monetari (spesa corrente), oppure costruendo infrastrutture (investimento pubblico). Terzo, non esiste evidenza empirica che indichi che le crisi fiscali sono influenzate dal livello di debito pubblico al netto dei prestiti contratti per finanziare investimenti pubblici. Insomma il CPI non è contrario alla richiesta ma mette in guardia dalla complessità del proposito. Le politiche pro-cicliche (che assecondano la tendenza dell’economia in un dato periodo) dovrebbero essere evitate. Andrebbe comunque presa piena consapevolezza, nella scrittura delle regole, che la distinzione tra trend e ciclo è allo stesso tempo assolutamente necessaria ed estremamente difficile. 

Le regole fiscali devono basarsi su variabili osservabili per evitare la complessità delle stime della crescita del PIL potenziale. L’UE infatti giudica la spesa pubblica dei paesi sulla base delle previsioni di crescita. Una metodica complessa e mai agevole, ma secondo Cottarelli e Galli, la proposta di sostituire l’attuale regola – che richiede una diminuzione nel deficit strutturale ad un certo ritmo – con l’imposizione di un tetto massimo di spesa risolve solo parzialmente il problema relativo alla stima dell’output potenziale. Ad ogni modo, i due credono che l’UE non debba più apparire come un guardiano della spesa statale, ma come un controllore dei deficit. Tenendo presente che anche spese rilevanti non sarebbero di per sé negative se sono affiancate a un aumento della tassazione come copertura a valle.

L’approccio ibrido

In conclusione, IL CPI propone di combinare l’approccio dell’equilibrio di bilancio con quello dei piani di bilancio a medio-termine. Questa combinazione è implementata tramite l’imposizione di clausole di medio periodo nei paesi dove il debito pubblico supera una certa soglia. Ma l’idea potrebbe essere addirittura quella di proporre differenti soglie da Paese a Paese, con un piano di aggiustamento più stringente solo per chi è in disavanzo eccessivo, attraverso un piano quadriennale. Inoltre, si rimarca di escludere dal computo del debito pubblico l’ammontare del debito pubblico acquistato dalla BCE tramite il PEPP (il programma anti-pandemico). Questo piano di aggiustamento fiscale a medio termine dovrebbe essere basato su ipotesi ragionevoli di crescita, tassi di interesse e altre ipotesi pertinenti. Il CPI sostiene che nel valutare gli aggiustamenti deve essere soppesato anche l’obiettivo dell’occupazione. Se ancora troppo bassa rispetto alle stime di lungo periodo si può rallentare il rientro. Senza per questo ammettere approcci irresponsabili sul piano della tenuta di tutto il sistema euro. In casi di circostanze eccezionali le norme vanno sospese. Tutte le valutazioni su quanto esposto fin qui, secondo il CPI andrebbero approvate dal Consiglio Europeo.

Sostiene Bini Smaghi

Nel confronto si è inserito anche l’economista Lorenzo Bini Smaghi, Senior Fellow della Luiss School of European Political Economy. Il quale in un paper accademico pubblicato con la Luiss si è interrogato se convenga davvero riformare Il Patto di Stabilità o usarlo in modo più flessibile, ricordando le facoltà che lo strumento già reca con sé dopo le precedenti due riforme. L’autorevole tecnico sostanzialmente è in linea con il sentiero proposto da Cottarelli e Galli, tuttavia evidenzia che dal dibattito promosso dalla Commissione Europea emergono sostanzialmente due esigenze di modifica: quelle relative allo sblocco della spesa corrente su un piano pluriennale e alla sostenibilità del debito. Propositi ragionevoli che però si prestano al rischio alto di errori di valutazione e ad attriti politici con i governi nazionali. Non è affatto facile secondo Bini Smaghi stabilire quali spese correnti possono essere ammesse, poiché considerate utili al contrasto del ciclo economico. Gli Stati utilizzerebbero tutte le sottigliezze possibili affinché una spesa per investimento possa apparire spesa corrente e viceversa. Anche un alleggerimento dei vincoli sul debito pubblico sarebbe operato su calcoli molto incerti come quello delle previsioni di crescita. Tutta l’impostazione, a parere del docente, porterebbe l’UE ad avere funzioni prescrittive anziché di indirizzo, giudicando cosa gli Stati devono o non devono fare con i loro bilanci. Un’evoluzione pericolosa e poco sostenibile, a cui appunto sarebbe meglio ovviare gestendo meglio i dispositivi previsionali già in uso. Bini Smaghi avverte anche che bisogna smettere di considerare soltanto le esternalità negative causate da eccessivi disavanzi, ma anche quelle dovute a eccessivi risparmi dei vari Stati. Portando ad esempio la politica di rigore interno della Germania che, poggiando unicamente sulla propria forza nell’export, ha portato per anni la deflazione in Europa e problematici differenziali nei tassi d’interesse tra Stati. A pagarne le spese, i paesi meno competitivi del Mediterraneo. Bini Smaghi spiega che i debiti pubblici in generale non potranno che restare alti in futuro, ecco perché non si può tornare a usare il Patto di Stabilità come si è fatto fino a due anni fa.