Cronache USA
Trump 2, dazi in altalena: un giorno sì, l’altro no
Di Giampiero Gramaglia
Donald Trump sull’altalena dei dazi: un giorno li mette, il giorno dopo o quasi li toglie. E c’è pure confusione sui licenziamenti dei dipendenti federali e dei tagli della spesa pubblica: s’intersecano decisioni dell’Amministrazione e interventi, spesso contraddittori, dei tribunali.
I media Usa viaggiano, questa mattina, come ieri per tutta la giornata, sull’ottovolante dei dazi. Dopo una conversazione telefonica, da lui definita “positiva”, con la presidente messicana Claudia Sheinbaum, Trump ha posposto di un mese l’applicazione dei dazi del 25% sull’import dal Messico entrati in vigore il 4 marzo.
Mercoledì, aveva già posposto buona parte di quelli analoghi sull’import dal Canada. I media tendono ad attribuire le retromarce di Trump più “alle preoccupazioni sull’impatto economico delle misure adottate” – il virgolettato è della Ap – che alle doti taumaturgiche della Sheinbaum, che pure è una tipa tosta.
Alla fine, nota il New York Times, l’America di Trump sta rispettando l’accordo commerciale con Messico e Canada da lui stesso firmato nel 2018, correggendo un precedente accordo concluso da Barack Obama. Ma questo non basta, osserva ancora il giornale, a riportare la calma sui mercati finanziari, dove, più che il sollievo, prevale a questo punto l’incertezza.
Per il Wall Street Journal, la politica commerciale “a colpi di sterzate” di Trump crea malessere nelle relazioni con gli alleati: “Per la seconda volta in un mese, il presidente accelera e poi frena sui dazi”. E la Cina si prepara a rispondere ulteriormente a quelli che definisce “i dazi arbitrari” degli Stati Uniti.
In una ‘breaking news’ da Pechino, la Ap informa che il ministro degli Esteri cinese Wang Yi accusa Washington di “mescolare il diavolo con l’acqua santa”. Secondo Wang, “gli sforzi cinesi per contenere i traffici di fentanyl sono stati ricompensati con dazi punitivi, creando disagi e tensioni fra i due Paesi”: questi comportamenti contraddittori “non sono buoni per la stabilità delle relazioni bilaterali e per instaurare una reciproca fiducia”.
Il Washington Post si chiede “che cosa stia esattamente avvenendo con i dazi di Trump” e cerca di capire “che cosa davvero gli americani pensano dei dazi”, mentre in un commento in prima Aaron Blake nota che “Trump fa retromarcia su due fronti: dazi e tagli alla burocrazia federale”.
E qui si apre il fitto (e molto contorto) capitolo dei licenziamenti e degli stop ai pagamenti e delle relative contestazioni giudiziarie con decisioni dei tribunali anch’esse contraddittorie: impossibile tenere dietro a tutti i rivoli di informazioni, dove, in prima linea, restano la USAid e gli aiuti allo sviluppo, il Dipartimento dei Veterani e l’agenzia delle imposte.
Il Washington Post spiega bene il significato di una sortita di Trump che non è sempre stata letta bene dai media europei: il presidente ha detto ai suoi ministri che tocca a loro in primo luogo ridurre il personale e le spese, senza aspettare le mosse di Elon Musk, che guida il Dipartimento per l’efficienza dell’Amministrazione pubblica. L’affermazione non è una sconfessione di Musk, ma una ‘chiamata alle armi’ dei ministri.
Infine, c’è poca attenzione negli Stati Uniti per le paturnie europee al Vertice di ieri a Bruxelles. Riferimenti ai dilemmi europei ci sono in prima sul Wall Street Journal, secondo cui le piroette di Trump con Putin spingono la Germania a pensare di dotarsi dell’arma nucleare. Il NYT apre con la notizia dell’incontro la prossima settimana in Arabia saudita tra delegazioni degli Usa e dell’Ucraina per 2cercare una via per uscire dalla guerra”, dopo le recenti “incomprensioni”.
