Trasporti

Automotive, la transizione inarrestabile

18
Aprile 2023
Di Giampiero Cinelli

C’è un asse della transizione ecologica che non può fermarsi, è quello dell’automotive. Ma ovviamente per farlo deve diventare sostenibile. La trasformazione della filiera automobilistica ha un suo focus nell’attività istituzionale anche attraverso il lavoro dell’Intergruppo parlamentare “Amici dei motori”. L’Intergruppo, con la collaborazione dell’Associazione “Città dei motori” e Anci, ha organizzato oggi a Roma, nella sede della Società Dante Alighieri in Piazza Firenze, il convegno intitolato “Il futuro dell’Automotive nell’era della transizione ecologica”, che ha visto come relatori i rappresentanti di importanti sigle datoriali e sindacali. «Vogliamo mettere a confronto tutti i principali portatori di interesse del settore automotive, fuori da tifoserie e pregiudizi, per costruire una posizione comune di sintesi tra tutte le forze politiche», ha fatto presente Stefano Vaccari, deputato e neopresidente dell’Intergruppo parlamentare, che conta ad oggi 38 adesioni tra senatori e deputati di tutti i gruppi politici.

Lo stato dell’arte

Quando si parla di transizione nelle auto, sostanzialmente si parla di elettrico. E come va il passaggio all’elettrico in Italia? A discapito della percezione abbastanza bene. Come è stato evidenziato durante la conferenza, nel Belpaese una vettura prodotta su cinque è elettrica. Da qui al 2030 gran parte dei produttori immetteranno veicoli totalmente elettrici, Stellantis addirittura anche prima del 2030. L’azienda ha fatto sapere che a Melfi e Cassino produrrà auto totalmente elettriche e in Italia al 2028/2029 l’80% dei veicoli sarà totalmente elettrico.

In nessun’altra nazione Ue c’è una produzione di veicoli elettrici così alta, nemmeno in Spagna o Germania. Un elemento molto importante che però si perde nelle discussioni inerenti alle infrastrutture che servono per mandare avanti la mobilità elettrica. Su questo investimenti e passi avanti si vedono, anche se di strada da fare ce n’è parecchia: «La politica deve fornire mezzi e strumenti adeguati per affrontare un cambiamento epocale», ha detto infatti Marco Stella, vicepresidente di Anfia intervenendo all’evento.

Stando ai dati, al 31 dicembre 2022 risultano installati 36.772 punti di ricarica sul territorio nazionale, in aumento del 41% rispetto al 2021, ma sulla rete autostradale l’Italia è ancora in ritardo, dove oggi si contano soltanto 496 punti di ricarica ad uso pubblico. Tuttavia, sebbene le immatricolazioni dei veicoli elettrici siano ben al di sotto rispetto ai principali paesi Ue, il nostro Paese ha più punti di ricarica per veicolo circolante del Regno Unito, della Francia, della Germania e della Norvegia. Ciò però, non deve distogliere dalla necessità di risolvere la disomogeneità della distribuzione dei punti ricarica, i quali figurano, per più della metà in percentuale, nel nord Italia e nei capoluoghi di provincia. E solo il 20% al sud e nelle isole. La chiave di volta può essere la ricarica condominiale, come evidenza Leonardo Artico, responsabile Industria e Formazione di Motus-E: «Dare la possibilità ai cittadini di avere punti di ricarica nel proprio condominio. Le risorse sono sufficienti? La dotazione finanziaria c’è (ad esempio il Fondo automotive) ma è necessaria l’attività del governo per guidare le imprese e per capire come cambiare la propria linea al fine di produrre nuovi componenti», ha sottolineato Artico.

Linea tracciata

Certo non è facile un mutamento così e non avrà dovunque le stesse tempistiche, ma un aspetto è bene tenere a mente: le principali aziende automobilistiche hanno sostanzialmente recepito il sentiero tracciato dalle istituzioni europee e lo stanno già implementando, indipendentemente dalla direttiva sullo stop alle auto a benzina dal 2035. Come infatti evidenzia il presidente di Legambiente Stefano Ciafani: «Il faro da seguire in questa tempesta è l’orientamento delle principali aziende automobilistiche mondiali che, a prescindere da ciò che deciderà l’Europa, anche se ha sostanzialmente già deciso, hanno già stabilito che la dismissione delle linee produttive dei motori endotermici avverrà molto prima del 2035. Perché le aziende hanno fatto questa scelta? Perché il mercato sta andando prepotentemente in questa direzione», si parla comunque, ricordiamolo, del mercato europeo.

Le problematiche

C’è però anche un lato critico, quello della tutela dei lavoratori nella transizione. «L’Italia è nelle condizioni di avere lavoratori, cittadini che possano permettersi di acquistare le auto elettriche? Io penso di no – ha dichiarato il segretario generale Uilm-Uil Rocco Palombella – Dobbiamo tutelare le aziende della componentistica e tutti i nostri lavoratori e mettere fine alla disputa tra chi è a favore e chi è contro. Insieme a Federmeccanica nel febbraio 2022 abbiamo scritto un documento indirizzato al Governo, ma il nostro compito non è finito. Insieme possiamo fare ancora molto e preservare il grande patrimonio industriale italiano». L’auspicio di governare la transizione preservando l’occupazione è condiviso anche da Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria, secondo cui «Abbiamo aziende molto forti, che sapranno riconvertirsi, ma comunque ci saranno problemi sociali. Quindi dobbiamo affrontare con un piano che sia un vero piano automotive, in cui ci sia dentro tutto». Marchesini ha poi sostenuto l’errore di considerare solo l’elettrico come mezzo per la transizione, anche se le regole e la tassazione in Europa spingono verso questo. Tuttavia in queste fasi tiene banco anche il dibattito sui biocarburanti, in merito la Germania va dritta e l’Italia cerca di spianare una strada, come si apprende anche dalle parole del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, ora di ritorno dal G7 in Giappone, il quale ha fatto sapere di aver affrontato il tema.

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