Innovazione

Il ritardo tecnologico degli studi professionali italiani

30
Aprile 2024
Di Francesco Tedeschi

Gli studi professionali italiani investono una percentuale molto esigua del loro fatturato in digitale: la maggior parte, infatti, spende tra i mille e i 5mila euro all’anno, solo una piccola parte di essi spende più di 30mila euro in nuove tecnologie. E nonostante gli strumenti digitali vengano adottati per migliorare la qualità dei processi, coordinare il lavoro e ridurre i costi, la maggior parte dei professionisti dedica alla formazione sulla tecnologia non più di un giorno all’anno.

A dirlo è un rapporto del centro interdipartimentale dell’Università di Pavia Institute for Transformative Innovation Research (Itir), presentato in occasione dell’evento di kickoff del MindHub “Digitalizzazione e futuro degli studi commercialisti“, promosso da AssoSoftware, l’Associazione di Confindustria che raggruppa i produttori italiani di software, in collaborazione con l’Accademia dei Commercialisti e la Fondazione Nazionale dei Commercialisti.

La ricerca copre il triennio 2020-22 ed è stata realizzata intervistando un campione composto da 1.559 professionisti provenienti da tutto il territorio nazionale, di cui oltre l’80% costituito da commercialisti. A essere intervistati soprattutto i titolari dello studio, uno su due di età superiore ai 55 anni. L’obiettivo era proprio quello di indagare il livello di digitalizzazione degli studi e capire di quali strumenti si siano dotati nel triennio considerato. In modo da avere indicazioni, sulle possibilità e le propensioni a investire nelle nuove tecnologie.

Due intervistati su tre non sono riusciti a investire nello sviluppo di soluzioni tecnologiche più di 5mila euro l’anno. In particolare il 18,35% è rimasto sotto la soglia dei mille euro, mentre circa il 47% si è collocato nella fascia da mille a 5mila euro. Carente anche il tempo dedicato alla formazione dei dipendenti sul tema: uno su due (il 52%) ha dedicato da zero a un solo giorno di formazione, mentre all’estremo opposto, poco più di uno su dieci è riuscito a impostare oltre sette giorni di formazione sulle tecnologie. Per Stefano Denicolai, professore di Innovation Management all’Università di Pavia «Le difficoltà che gli studi commercialisti affrontano nel loro cammino di digitalizzazione sono molteplici, tra queste il fatto che si tratta di una professione svolta da un gruppo ristretto di persone che hanno poche occasioni per investire in modo ponderato sul digitale a parte gli adempimenti normativi. Questo crea un circolo vizioso, avendo poche competenze digitali si fa fatica a capirne il valore, come investire e in quale direzione». Per il docente è anche una questione di contesto: «Questi studi lavorano in simbiosi con Pmi che non hanno cultura del digitale e non vogliono investire nel settore ,ma basta poco per sbloccare la situazione: qualche piccolo investimento nella direzione giusta non può che portare grandi vantaggi agli studi».

Le criticità maggiori sono proprio sulla tipologia di strumenti tecnologici adottati negli studi, che sembrano non riuscire a progredire verso forme particolarmente complesse e ad alto valore aggiunto. In una scala da uno a cinque, a livello di importanza, relativa al livello di adozione medio è l’email lo strumento più diffuso (4,82), seguita dai sistemi di backup e dalle piattaforme per le riunioni digitali. Tecnologie più evolute, come le piattaforme di collaborazione o il timesheet sono ancora agli ultimi posti. Per non parlare dell’intelligenza artificiale, ferma all’ultimo gradino della scala di interesse con il punteggio minimo pari a uno.

Secondo, Pierfrancesco Angeleri, Presidente di AssoSoftware: “Gli studi investono poco perché non siamo riusciti ancora a far comprendere al meglio le potenzialità del digitale, che rappresenta un fattore fondamentale per crescere e sviluppare la loro professione. Come dimostra bene lo studio presentato oggi, il digitale è ancora percepito come qualcosa che serve solo per rispettare gli adempimenti. Per questo è necessario puntare sulla diffusione della cultura digitale, mettendo in campo misure strutturali finalizzate a sostenere i professionisti ad affrontare le nuove sfide legate alla trasformazione digitale. Soltanto procedendo in questa direzione sarà possibile contribuire concretamente alla diffusione delle competenze digitali, che costituiscono l’asset strategico per l’integrazione dell’IA nei processi produttivi e nei servizi. Per questi motivi siamo qui oggi: vogliamo accompagnare gli Studi Professionali nel loro cammino verso una maggiore maturità digitale”.