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Chi perde e chi guadagna se l’Iran blocca lo stretto di Hormuz

23
Giugno 2025
Di Paolo Bozzacchi

Ogni giorno 20 milioni di barili di petrolio per un controvalore che supera il miliardo di $. Questo il significato economico dello Stretto di Hormuz che l’Iran sta minacciando di bloccare. Appena 33 chilometri di braccio di mare che però sono uno snodo geopolitico decisivo per la fluidità del commercio internazionale via mare, soprattutto del petrolio e del gas naturale. Un barile di petrolio su cinque nel mondo transita da Hormuz, così come una quota importante del gas naturale, soprattutto dal Qatar. Ovvio che l’eventuale blocco rappresenti una minaccia reale e diretta della teocrazia iraniana all’Occidente. Ma in questa fase chi perderebbe e chi invece guadagnerebbe dall’eventuale chiusura dello Stretto?

Iran: doppio autogol
Nel caso l’Iran decidesse di bloccare lo Stretto di Hormuz farebbe un clamoroso autogol. O forse due. Il primo commerciale e strategico, perché essendo esportatore di petrolio, anche se limitato dalle sanzioni, l’Iran stesso è il primo Paese ad usare Hormuz per l’export nazionale di greggio. Il secondo autogol sarebbe politico, perché con la decisione Tehran rischierebbe quasi sicuramente nuove sanzioni internazionali.

Cina: debacle
La Cina è il Paese che perderebbe di più dall’eventuale blocco. Anzitutto perché oltre il 40% del petrolio importato dalla Cina passa per Hormuz. Non solo. L’aumento dei prezzi di petrolio e gas a livello globale penalizzerebbe per prima Pechino, importatrice numero uno al mondo e notevolmente energivora dal punto di vista dei settori a più alta produzione interna. Per la Cina ci sono anche rischi di inflazione importata e rallentamento economico. Fattori che portano ad accreditare il Dragone come il principale motivo di speranza affinché Tehran mantenga i nervi saldi e decida di non procedere al blocco.  

Russia: vantaggio nel breve termine
Conseguenza possibile con il blocco sarebbe il forte rialzo dei prezzi di petrolio e gas. Mosca si riaccrediterebbe come fornitore alternativo internazionale, e potrebbe rafforzare il suo export verso Cina, India e Turchia, con aumento dei guadagni e rafforzamento dell’influenza politica internazionale, al momento ai minimi a causa del prolungarsi del conflitto in Ucraina.

USA: not so bad economically speaking
Con Hormuz bloccato l’amministrazione Trump vedrebbe avvantaggiate le big americane del settore (Exxon e Chevron), che aumenterebbero i profitti. Così come tutti gli altri produttori di shale oil e gas che guadagnerebbero dai prezzi in forte rialzo. L’enorme punto interrogativo si porrebbe dal punto di vista politico e strategico, perché se l’escalation dovesse proseguire Trump sarebbe sempre più forzato a scegliere l’intervento militare. Che storicamente ha sempre comportato costi altissimi sia sociali che economici.

UE: impatto economico relativo, preoccupazione politica
“La possibile chiusura dello stretto di Hormuz da parte dell’Iran sarebbe estremamente pericolosa e negativa per tutti”. Sono le parole dell’Alta Rappresentante UE, Kaja Kallas, all’arrivo questa mattina al Consiglio UE Esteri. Che dimostrano la forte preoccupazione per un’escalation, soprattutto dal punto di vista politico. Anche perché dal punto di vista strettamente economico se l’Iran chiudesse Hormuz l’Unione Europea sarebbe tra i soggetti internazionali meno impattati, perché non direttamente così dipendente dal petrolio del Golfo. Le importazioni UE da Arabia Saudita, Kuwait e Iraq insieme sono nettamente minoritarie rispetto a quelle da Norvegia, Stati Uniti, Kazakistan e Algeria. Naturalmente in caso di blocco prolungato anche Bruxelles subirebbe le conseguenze ai danni del mercato globale. Ma lo sguardo di lungo termine è diventato merce rara in queste ore. L’incendio si è allargato e va spento con rapidità ed efficacia. La chiusura dello Stretto di Hormuz in questo senso sarebbe benzina sul fuoco.