Meloni: “Ci tengo a dire una cosa rispetto a questo dibattito sulla mancata presenza italiana nelle riunioni tra Gran Bretagna, Francia, Polonia, Germania e Ucraina: io devo ribadire una cosa che ho già spiegato diverse volte, e cioè che l’Italia ha da tempo dichiarato di non essere disponibile a mandare truppe in Ucraina. Non avrebbe senso per noi partecipare a dei formati che hanno degli obiettivi sui quali non abbiamo dichiarato la nostra disponibilità. Credo che sia un fatto di chiarezza e di coerenza.”
Macron: “C’è un errore di interpretazione, la discussione che abbiamo avuto era per ottenere un cessate il fuoco in Ucraina, non c’è stata una discussione domenica e neppure oggi sull’invio di truppe. Bisogna essere seri, guardiamoci dal divulgare false informazioni, ce n’è a sufficienza di quelle russe.”
Boom!
Nemmeno si può dire la “coppia scoppia” perché non ce n’è mai stata una e il dualismo tra i 2 capi dell’Esecutivo di Italia e Francia è stato teso fin dal giorno zero.
Macron considera Meloni poco più di una Marine Le Pen che ce l’ha fatta, con conseguente nocumento per la sua voglia espansionistica verso l’Italia, in passato esercitata grazie alla compiacenza di maggioranze politiche amiche.
Per Meloni, Macron non è altro che un tecnocrate, espressione in purezza dei “poteri forti” che la vedono come fumo negli occhi in quanto mancante di quei gradi di nobiltà politica che solo l’amicizia francese può concedere.
Macron vive di profonde debolezze interne, ma coltiva ambizioni globali conseguenti alla fine del suo 2° e ultimo mandato nel 2027. Aspira a guidare l’Europa ufficialmente o ufficiosamente oppure, come fatto capire da Michel Houellebecq nel suo più recente romanzo (Annientare, La Nave di Teseo, 2022), potrebbe saltare un giro per poi tornare nel 2032 alla giovane età di 55 anni.
Meloni gode di una forza interna praticamente inattaccabile (per ora), e vuole fare della sua coerenza un fattore di stabilità per concludere al governo, questo governo senza cambi, la XIX Legislatura e magari anche quella successiva.
Macron rappresenta la Francia, una nazione dal peso geopolitico indifferente ai decimali del PIL o del debito pubblico, e si fa forte di una straordinaria abilità politica che lo ha portato in pochi mesi ad assumere il ruolo di “guida” di altre nazioni altrettanto forti ma dalle leadership politiche più deboli, come la Gran Bretagna di Starmer e la Germania di Merz.
Meloni aspira a rendere l’Italia più forte di quanto non sia mai stata, perché non c’è alcun “Make Italy great again” cui tornare né passato glorioso da evocare. L’Italia costruisce la sua forza geopolitica appoggiandosi agli Stati Uniti prima ancora che all’Europa e Meloni lo sa, gioca la sua partita in base a questo assunto contando sull’orizzonte lungo del suo Governo e su quello dei 4 anni di 2a Presidenza Trump.
Potremmo continuare a lungo a disegnare incompatibilità fino a giungere a quelle più pop o personali, ma non ce n’è bisogno in quanto il quadro è sufficientemente chiaro a tutti.
Provocatoriamente possiamo dire che questo dualismo faccia quasi più gioco a Meloni che a Macron.
Macron non ha bisogno di un avversario in Europa, in quanto convinto di non averne sul continente e che solo gli USA siano al suo livello di interazione; Meloni può “giocare” sull’indipendenza dalle iniziative francesi per evidenziarne il distacco ed aumentare il suo peso specifico in ambito europeo.
Un po’ come quando il tennista più debole si trova di fronte uno più forte e si accorge quasi per magia di stare alzando il livello del suo gioco. Il tema è quanto possa durare.
Può succedere l’eccezione che sia l’outsider a vincere, come quando Del Potro sconfisse Federer nella finale degli Us Open del 2009, oppure può accadere come ieri sera: il numero 12 del mondo vince il 1° set con Sinner 6-1 in 20 minuti, ma poi affonda 6-0 6-3 nei 2 successivi.
Senza scomodare David Foster Wallace, possiamo dire che il tennis può insegnare anche a leggere le dinamiche geopolitiche.
