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Il risiko delle regionali

06
Settembre 2025
Di Redazione

Ci ritroviamo dove ci eravamo lasciati, con una politica internazionale fatta di molti fuochi d’artificio e pochi risultati concreti, contestualmente ad una situazione interna bloccata sul tema delle candidature alle elezioni regionali. 

Elezioni di cui, a dire il vero, nemmeno si sanno le date esatte eccetto quelle di Marche e Valle d’Aosta (28-29 settembre), Calabria (5-6 ottobre) e Toscana (12-13 ottobre). 

Per le altre – Campania, Puglia e Veneto – è ufficiale solo la scadenza del 23 novembre come limite massimo stabilito dal Consiglio di Stato dopo i vari ricorsi. 

Tramontata quindi l’ipotesi dell'”election day” nazionale, evidentemente troppo rischioso per entrambe le coalizioni, si procede a votazioni parcellizzate territorio per territorio, fattore che renderà ancora più importante la scelta dei candidati locali. 

A meno che il risultato della prima regione, le Marche, considerato da molti come decisivo per comprendere gli orientamenti di voto nazionale, non possa funzionare da primo semaforo di un’ipotetica “onda verde” che veda un successo replicarsi per 6. 

Le difficoltà sono trasversali da una parte all’altra, a seconda di quando le trattative escono dalle stanze o dalle chat per finire dritte sui giornali. 

C’è stata la fase dell’ipotetica legge sul “terzo mandato” in cui sembrava non ci potesse essere Veneto senza Luca Zaia che poi, val la pena ricordarlo, sarebbe arrivato al 4° mandato consecutivo. 

Poi quella campana in cui Vincenzo De Luca ha accettato un passo indietro dalla sua 3a candidatura consecutiva, quasi sicuramente vincente come le precedenti, per lasciare spazio al “senza un voto” Roberto Fico (M5S), in cambio del ruolo di segretario regionale per suo figlio Piero, Deputato del PD. 

Ora è il turno della Puglia, regione a “statuto politico speciale” in cui la politica ruota da 2 decenni intorno a 3 sole persone, ora ritrovatesi tutte insieme sul palcoscenico delle prossime regionali. 

In ordine cronologico: il “vecchio” Nichi Vendola (Deputato dal 1992 al 2005, Governatore della Puglia dal 2005 al 2015, attualmente fuori dalla politica attiva), il “Re” Michele Emiliano (PM della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari dal 1995 al 2003, Sindaco di Bari dal 2004 al 2014, Governatore della Puglia dal 2015 al 2025, non più rieleggibile) e il “giovane” Antonio Decaro (Sindaco di Bari dal 2014 al 2024 dopo vari ruoli locali, ora Europarlamentare del PD).

La storia è semplice: la candidatura di Decaro alla Presidenza della Regione è fatto praticamente scontato da anni, in quanto la soluzione più vincente senza nemmeno l’ombra del rischio di una sconfitta. 

Decaro, giustamente, gradirebbe assurgere al ruolo senza una presenza eccessivamente vicina ed ingombrante dei suoi navigati predecessori, all’apparenza volenterosi di essere eletti come “semplici” Consiglieri regionali: “Nichi, ma chi te lo fa fare di rientrare in Italia? Non si sta meglio in Canada lontano dalle beghe di qua? Michele carissimo, ma dopo 30 anni di potere ininterrotto, non avresti voglia di una pausa per poi, magari, andartene a Roma a fare il Parlamentare?” 

E invece no, la politica si conferma sempre la migliore droga in circolazione e, per questo, da settimane assistiamo al balletto del “se ci sono loro, io non mi candido”, “se c’è Nichi devo esserci anch’io”, “allora o tutti o nessuno” etc. etc. 

Da ieri pare si sia addivenuti ad una soluzione: Decaro conferma la candidatura ma senza la certezza di chi e quale passo indietro ci sarà. Ma ci sarà. 

Banco di prova difficile per Elly Schlein, per la prima volta costretta ad affrontare la politica manovriera dei leader territoriali, principali portatori di voti e risorse al PD in attesa di una vera nascita della sua leadership nazionale. 

Dall’altra parte, potrebbe essere questo il momento migliore per il centrodestra per sciogliere i suoi di nodi, ora che l’attenzione è tutta sui complessi meccanismi del centrosinistra? Potrebbe, ma non sta succedendo. Evidentemente il gusto di risolvere le trattative in piazza è troppo forte nell’era della “likecrazia”.