Salute
Sanità, il nodo tra prevenzione e innovazione: politica e imprese chiedono regole certe
Di Ilaria Donatio
(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
La promessa mancata della prevenzione e l’urgenza di rendere la salute un diritto uguale per tutti. È questo il nodo emerso nel talk del Policy & Business Forum, “Prevenzione, equità e innovazione: la sanità del futuro tra pubblico e privato”. Politica e imprese hanno messo sul tavolo le contraddizioni di un sistema che produce eccellenza, genera valore industriale, ma spesso inciampa nella burocrazia e nelle diseguaglianze territoriali.
Il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè ha rivendicato con orgoglio la legge sullo screening pediatrico per diabete e celiachia, definendola «un modello che ci invidiano Stati Uniti ed Europa». Ma a distanza di mesi dall’approvazione, quella norma è ancora ferma. «Non possiamo permettere che un rimpallo tra Garante della privacy, Conferenza Stato-Regioni e ministero della Sanità blocchi un progetto che ha fondi già stanziati – ha avvertito -. Se il nodo del dato non si scioglie, offendiamo la legge e offendiamo l’Italia. Il ministro Schillaci deve intervenire in modo risolutivo: lo screening deve partire nel 2026». Per Mulè, la partita si gioca soprattutto sull’innovazione tecnologica: «Chi è nemico dell’innovazione è nemico della prevenzione. E senza prevenzione arrivano i disastri».
La politica guarda anche alla cornice istituzionale. Maria Elena Boschi ha puntato il dito contro le disparità che dividono il Paese: «In Italia la possibilità di curarsi dipende ancora troppo dalla regione in cui si vive. Serve una riforma costituzionale che riporti la competenza esclusiva sulla sanità allo Stato, rafforzando al tempo stesso la cooperazione tra territori». In attesa dell’aggiornamento dei Lea, la deputata ha ribadito la necessità di garantire uniformità, superando un regionalismo che genera cittadini di serie A e di serie B.
Dal fronte industriale, le parole più dure sono arrivate da Massimiliano Bindi, amministratore delegato di Abbott. Per lui, l’attuale sistema di marcatura CE dei dispositivi medici «non basta a garantire prestazioni cliniche affidabili nel mondo reale». La richiesta è di introdurre linee guida europee che fissino standard minimi di validazione clinica e test di efficacia, coinvolgendo società scientifiche e associazioni di pazienti. «Non è un dettaglio tecnico – ha spiegato – ma un imperativo etico per tutelare la salute e promuovere un’innovazione responsabile». A fotografare il peso economico del comparto è stata invece Fulvia Filippini, Country Public Affairs Head Sanofi Italia: «Il farmaceutico italiano vale oltre 50 miliardi di produzione, ma siamo in una fase di grande complessità. L’accesso all’innovazione è messo a dura prova da risorse insufficienti e da un contesto geopolitico in cui Stati Uniti e Cina ridefiniscono gli equilibri globali». Un dato, quello sulla dimensione del settore, che basterebbe da solo a spiegare perché la sanità non sia solo una voce di spesa, ma un asset industriale cruciale per il futuro del Paese.
Il primo talk ha lasciato un messaggio chiaro: la prevenzione e l’innovazione non possono restare intrappolate nei meccanismi burocratici o nelle disparità territoriali. La sfida è rendere il diritto alla salute davvero universale, mentre il settore farmaceutico e dei dispositivi continua a spingere per regole più certe e per un riconoscimento del proprio ruolo economico.





