Politica
Vaticano e Politica Internazionale, quanto conterà la parola di Francesco
Di Giampiero Cinelli
La morte di Papa Francesco ha smosso il mondo intero, concentrando l’attenzione delle opinioni pubbliche globali non solo sull’istituzione religiosa e sui funerali di Bergoglio, ma anche sul messaggio politico che egli ha impostato durante il suo pontificato.
La forza di Francesco a livello politico non può negarsi, se non altro perché alla sua dipartita i principali leader del mondo hanno accettato l’invito per presenziare alle esequie e, nell’occasione, si sono confrontati faccia a faccia su questioni fondamentali, su tutte quelle della sicurezza e dei processi di pace.
A “Largo Chigi”, il talk di The Watcher Post, abbiamo cercato di capire meglio l’eredità geopolitica del Papa, chiedendoci se questa ci sia effettivamente stata e dove possa portare. Il Giornalista Francesco De Remigis ha invitato a non sottovalutare l’operato del Papa defunto, facendo notare che nella recente riunione dei Brics si è parlato appunto del come cessare i conflitti, probabilmente anche sulla scia dell’impatto lasciato da Francesco, su cui si è ragionato in questi giorni; sugli stessi temi si è interrogato anche il Forum per la sicurezza del Medio Oriente, nel quale l’Emiro Al Thani ha considerato di non usare la fame come strumento di guerra negli scenari bellici.
Fiducioso delle ricadute del pontificato di Bergoglio, parlando a Largo Chigi, Paolo Ciani, Deputato del Pd e Segretario Commissione Affari Sociali, che ha ricordato come Francesco nei suoi viaggi apostolici sia arrivato in luoghi tradizionalmente lontani dalla cristianità, catalizzando il dibattito, come «l’Asia profonda» e il Centrafrica, dove Bergoglio aprì la Porta Santa e influenzò per la fine del conflitto.
Fermo restando che nessuno ignora la “proiezione terrena” della Chiesa, secondo Giampiero Gramaglia, giornalista e collaboratore di The Watcher Post, il reale peso di Francesco è ancora da vedere. Va infatti rilevato secondo Gramaglia che ai funerali in San Pietro in prima fila c’erano tre leader che non sono in linea con le posizioni del Papa, includendo le politiche migratorie, e che Donald Trump ha fatto intendere che vorrebbe un nuovo Papa diverso da Francesco, sembrando sostenere il Cardinale Dolan, arcivescovo di New York, di vedute conservatrici. Inoltre Javier Milei definì il Papa con parole ingiuriose, mentre in Francia Macron si è fatto sostenitore del riarmo, di certo non quello che desiderava Mario Bergoglio.
La diplomazia vaticana ha toni e protocolli diversi da quelli dei capi di Stato e probabilmente mostra i suoi effetti in modo non immediato. Spesso poi si guarda troppo ai risultati concreti per valutare l’efficacia, trascurando che già solo l’aver ottenuto delle occasioni diplomatiche, è un risultato di per sé, considerando il ruolo non realmente politico della Chiesa. Nessuno infatti osa sostenere che il faccia a faccia tra Trump e Zelensky all’interno della Basilica Vaticana sia privo di senso, anche se i due hanno riportato versioni differenti del colloquio avvenuto. Stesso discorso può essere fatto in merito al viaggio del Cardinale Zuppi a Mosca per sollecitare sul rientro in patria dei minori ucraini.
Venendo al Conclave, cosa possiamo aspettarci? Probabilmente siamo molto attenti ai papabili italiani in quanto nostri connazionali, ma Gramaglia ha rimarcato che il peso dei cardinali italiani è andato decrescendo e ora rappresenta meno di un sesto dei porporati. A detta della firma di The Watcher Post, è giusto che la politica italiana non stia ingerendo nelle possibili scelte, mentre l’esposizione di Macron a favore dei cardinali francesi è apparsa «ottocentesca». Ad ogni modo i pronostici sono quantomai difficili in un Conclave in cui voteranno 133 ecclesiastici e in cui forse le nazionalità non conteranno tanto quanto molti credono.
La puntata integrale di Largo Chigi
