Politica

Transatlantic Dialogues: “Fuori dalla pandemia. Equilibri nel mondo post Covid”

24
Giugno 2021
Di Luca Grieco

La ricetta post-Covid non è omogenea a livello globale. E le relazioni internazionali sono in una fase di riassestamento. Questi i temi approfonditi dal nuovo appuntamento dei Transatlantic Dialogues – Business & Cultural Diplomacy dal titolo “Fuori dalla Pandemia. Scenari economici ed equilibri nel mondo post Covid”, organizzato negli UTOPIA Studios con la collaborazione dell’Istituto Bruno Leoni e coordinato dal Partner di UTOPIA e Responsabile Chapter Roma di AMERIGO, Ernesto Di Giovanni.

Hanno partecipato Chiara Albanese, Bloomberg, Carlo Amenta, Direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale all’Istituto Bruno Leoni, Daniele Capezzone, La Verità, Carlo Pelanda, Docente presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi, Federico Rampini, Corrispondente da New York per la Repubblica. Silvia Sciorilli Borrelli, del Financial Times, non ha potuto esser presente in collegamento.

L’incontro è stato aperto da un video di saluti di Andrea Gumina, Presidente dell’associazione AMERIGO, che ha sottolineato come il periodo che stiamo vivendo sia caratterizzato da «molte trasformazioni, si tratta di un decennio di trasformazione al centro di moltissimi dibattiti». Queste e altre tematiche sono state affrontate durante il dibattito, aperto da Ernesto Di Giovanni che ha ricordato come gli ultimi giorni siano stati importanti, con l’arrivo delle Presidente von der Leyen in Italia, con la seconda fase del recovery found alle porte e con una nuova visione del nostro Paese all’interno dell’Unione Europea. C’è stato certamente un «periodo gravissimo di crisi, il mondo si è fermato a cominciare dagli USA che hanno avuto, nel 2020, un tasso di disoccupazione vicino al 15% e un calo del PIL, nel secondo trimestre dello stesso anno, di quasi il 33%. Le economie del vecchio continente hanno forse reagito meglio, anche grazie a strumenti di sistema diversi rispetto a quelli utilizzati negli USA».

Chiara Albanese ha sottolineato, nel proprio intervento, come Mario Draghi abbia individuato tre elementi fondamentali nel dibattito, ossia l’attenzione all’inflazione, la crescita verificata maggiore rispetto a quella attesa e l’incertezza sull’impatto che la diffusione della variante Delta avrà sull’economia. Siamo davanti ad un «animale economico imbizzarrito, totalmente fuori controllo tra un mondo che riparte più veloce rispetto alle attese e rischi particolari dati dalle politiche adottate»; politiche, però, ritenute le uniche possibili. L’unica possibilità, infatti, era iniettare miliardi di euro e di dollari nell’economia. Come si rientra da questa situazione? L’inflazione sarà solo temporanea? Il recovery found è stata la risposta dell’UE, un piano «unioneuropeista, ma da qui al 2926 non abbiamo idea di come saranno investiti i fondi. Non abbiamo idea del contesto in cui la ripartenza economia sarà inserita».

Carlo Amenta, nel prender la parola, si è collegato all’ultima parte dell’intervento, rimarcando come in effetti vi siano più domande che risposte e come il PNRR stesso sia «un grande punto di domanda, nel senso che si tratta di una risposta molto europeista, dirigista; c’è un’idea di cosa si debba fare affinché l’economia cresca e quindi vengono erogati fondi per farlo. A causa della natura dell’intervento europeo molto dipende da cosa succederà in termini di cambiamenti strutturali». Importante sarà la riconfigurazione delle catene del valore, accorciate o duplicate per motivi geopolitici, ma anche la digitalizzazione rappresenta un grande interrogativo. E poi c’è il discorso del ruolo dello Stato, che non ha fatto una grande figura, escludendo la mobilitazione di denaro; e infatti la parte migliore della pandemia è venuta dal privato. Lo Stato non ha conseguito particolari successi. Inoltre, nonostante in situazioni straordinarie si possa accettare una diminuzione della libertà individuale, non bisogna dimenticarsi che i Paesi che crescono di più son quelli in cui si riesce a trovare molto spazio per la libertà anche economica.

L’intervento di Daniele Capezzone ha spiegato come l’Occidente, nonostante la «nuova versione che noi stessi abbiamo tentato di dare in ambito mondiale, debba riflettere sulla sensazione di weakness trasmessa anche quando pensa di voler dare una sensazione opposta». Certo non è possibile, sul piano economico, fare previsioni certe ma è necessario avere strategie di adattamento per ciascuno degli scenari possibili, che sono sempre incerti, con una ripresa economia molto asimmetrica e l’impossibilità d prevedere cosa accadrà da qui a cinque o sette anni. Ci si augura, inoltre, che non accetteremo più limitazioni alla libertà come avvenuto nel 2020; nonostante l’entusiasmo del 2021, bisogna ricordare le restrizioni subite lo scorso anno affinché non si ripetano.

Federico Rampini ha analizzato il passaggio tra tragedia e rinascita, spiegando come in Cina si sia verificato un boom economico a seguito della tragedia del 1989 di piazza Tienanmen; ma «non dobbiamo sbagliare, perché lo shock del 2020 dal punto di vista umano è stato una tragedia ma non dal punto di vista economico; anzi, si è trattato di una crisi banale, breve e modesta per Cina e Stati Uniti, che ne sono usciti già nell’autunno 2020». Biden tenta, negli USA, di replicare il modello rooseveltiano del new deal, rifacendosi anche alle politiche di Kennedy e Johnson; uno Stato che aiuti i campioni nazionali e che non bada a spese per farlo. Per quanto riguarda le spese europee, sicuramente c’è necessità di non commettere errori – le stesse preoccupazioni che c’erano, da parte degli americani, per i fondi del Piano Marshal, molto minori rispetto a quelli del recovery found. Questo secolo resta, ad ogni modo, il secolo cinese – o forse asiatico – nonostante gli errori «spaventosi» che la Cina commette. Non si può immaginare un futuro senza la Cina, che continuerà a crescere nel lungo periodo nonostante alcuni probabili incidenti di percorso anche gravi. La vera questione è posta dall’America, che deve avere a che fare con l’opinione pubblica interna, che vede gli stessi USA, alle volte, come un nemico da combattere.

Della Cina ha poi parlato il professor Carlo Pelanda, che ha sottolineato come la Cina rappresenti «il nemico perfetto per le democrazie occidentali, nemico che continua a compiere grossi errori che consentono alle suddette democrazie di compattarsi. La Cina attualmente non è molto forte, versa in una importante crisi bancaria, di sovraccapacità e perde spesso terreno». Insomma la Cina non gode di grande stabilità; fa paura per i suoi atteggiamenti ma è dal 2017 che ha assunto connotati marcatamente dittatoriali che hanno portato ad una fase di incertezza. Si tratta, in altre parole, di «una guerra economica a bassa intensità» nei confronti della Cina.

A chiusura dell’incontro, Chiara Albanese ha auspicato il ritrovamento di un nuovo «equilibrio post pandemico», che dovrà per forza di cose essere nuovo ma, allo stesso tempo, dovrà tenere conto di criticità e priorità rilevate durante l’ultimo periodo di crisi.

Per rivedere la diretta integrale: https://www.facebook.com/UtopiaPublicAffairs/videos/498218894734654