Politica

Tangentopoli 30 anni dopo. Ma la politica ha imparato qualcosa?

17
Febbraio 2022
Di Ettore Maria Colombo

Tra tante celebrazioni elogiative e acritiche – eccelle, nella fattispecie, il quotidiano Repubblica che dei giudici di Mani Pulite fu l’alfiere, anche se non da solo, con un dossier ‘long form’ e pure un libro – colpiscono le parole di un ex magistrato come Carlo Nordio, mai tenero, all’epoca come dopo, con i suoi colleghi del Pool di Milano, MA che inquadra, in modo equanime, il fenomeno Mani Pulite ‘trent’anni dopo’: “L’operazione Mani Pulite, iniziata trent’anni fa, non era nata per caso. I suoi presupposti erano politici ed economici: la caduta del Muro di Berlino e la insopportabilità per le imprese dei costi della corruzione. Su di essi si innescarono altri fattori: il rigoroso procedere dei pm, l’uso severo, e talvolta eccessivo, della carcerazione preventiva e l’ausilio dell’informatica che consentiva l’adozione rapida di provvedimenti cautelari con la cattura massiccia di imprenditori e politici. L’attività giudiziaria fu sostenuta e stimolata da una stampa entusiasta, che a sua volta rifletteva l’indignazione di una opinione pubblica nauseata da tante dissipazioni e ruberie”.

Dal Pool di Milano al ‘verminaio’ Palamara: la magistratura non ha saputo auto-riformarsi

Il problema – continua nella sua analisi Nordio – è che se un tempo i cittadini nutrivano verso la giustizia un misto di timore reverenziale e di moderata fiducia, oggi la considerano amministrata da una casta inquinata dalle correnti e assistita da un’inaccettabile impunità. Siamo passati, cioè, dagli ‘eroi’ e ‘santi’ del pool di Milano al ‘verminaio’ emerso con lo scandalo Palamara. La procura simbolo di Mani Pulite è diventata infarcita di indagati, tra logge e contro-logge, inchieste e contro-inchieste, il Csm è sfibrato e diviso da dimissioni a catena di membri in guerra tra loro e via così fino al conflitto tra lo stesso Csm e il Consiglio di Stato. Come se non bastasse emergono imbarazzanti episodi di interessi personali nella procura di Firenze che indaga su Matteo Renzi e su altri personaggi. In definitiva, il prestigio e la credibilità della magistratura sono così compromesse che il presidente Mattarella ha ritenuto necessario invocare un “recupero di rigore”, oggi perduto.

A ciò si è arrivati per due ragioni. Uno, la politica – intimidita dalle indagini – ha preferito una ritirata codarda e ha strumentalizzato le inchieste (pro e contro Berlusconi, pro e contro Renzi, etc.) per eliminare gli avversari che non riusciva a battere nelle urne. Due, la magistratura, o meglio una sua parte più estremista e arrogante (Davigo and co.) si è ritenuta investita di una missione palingenetica e moralizzatrice, approfittando di una legislazione che le attribuiva poteri immensi svincolati da qualsiasi responsabilità. Abuso della carcerazione preventiva, uso sapiente degli avvisi di garanzia per fare fuori esponenti politici, divulgazione di conversazioni intimi ininfluenti nelle indagini ma devastanti per l’onorabilità. Il bilancio di questi trent’anni è perciò fallimentare. La magistratura non ha saputo auto-riformarsi e la Politica non ha saputo porre leggi appropriate per circoscrivere lo strapotere dei giudici che, nella sua assenza, si è accresciuto. La riforma del Csm e quella del processo penale, messa in cantiere dalla ministra Cartabia, all’esame del Parlamento, è solo il primo, timido, passo in questa direzione.

Un breve ripasso. Cosa è successo 30 anni fa. Cronistoria della stagione di Mani Pulite

Ma cosa è successo esattamente trent’anni fa? Fu una tangente da sette milioni di lire la prima scossa di un terremoto che avrebbe travolto la classe politica della Prima Repubblica e i più grandi gruppi industriali italiani e che da Milano si estese in tutto il Paese. Quella mattina di trent’anni fa, il 17 febbraio 1992, primo giorno di Mani Pulite, nessuno poteva immaginare che l’arresto del socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, avrebbe sconquassato in pochi mesi il Pentapartito, coinvolto il Pci-Pds e macchiato anche la Lega in vorticosa ascesa al grido di “Roma Ladrona” dando il via a una lunghissima stagione di arresti e inchieste: a Milano furono 4520 gli indagati, 3200 i rinviate a giudizio, 1281 le condanne, 1.111 le assoluzioni.

In quei mesi Antonio Di Pietro, il pm che fa arrestare Chiesa, diventa l’uomo più popolare d’Italia. Già a maggio il capo della procura, Francesco Saverio Borrelli, affianca a lui e all’aggiunto Gerardo D’Ambrosio, i pm Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, poi Francesco Greco e Paolo Ielo, poi meglio noti come il ‘pool di Milano’. Intanto, ogni interrogatorio apre nuovi fronti d’indagine. Tre mesi dopo l’arresto di Chiesa, il 2 maggio avvisi di garanzia arrivano agli ex sindaci Psi di Milano Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri, finisce in carcere il segretario della Dc lombarda Gianstefano Frigerio e viene indagato il segretario amministrativo Dc, Severino Citaristi.

Il 16 maggio finisce a San Vittore il segretario milanese Pds, Roberto Cappellini. A settembre la prima pagina nera dell’inchiesta, con il suicidio del deputato socialista Sergio Moroni. Dopo di lui si toglieranno la vita anche l’ex presidente Eni, Gabriele Cagliari, e il presidente di Montedison, Raul Gardini. Gli avvisi di garanzia arrivano fino ai vertici della politica: tra la fine 1992 e a inizio 1993, il segretario del Psi Bettino Craxi e del Pri, Giorgio La Malfa, sono indagati per i 150 miliardi di lire pagati da Montedison.

Il processo per la “madre di tutte le tangenti” si apre con un solo imputato, Sergio Cusani, l’unico a scegliere il rito immediato. In aula sfilano tutti i segretari di partito ma arrivano anche le condanne per Umberto Bossi e il tesoriere della Lega, Alessandro Patelli. A inizio del 1993 viene arrestato anche Primo Greganti, il “compagno G” del Pci-Pds, considerato il custode dei segreti contabili dell’ex Pci.

In quegli anni il pool gode di grande consenso. Il decreto che depenalizza il finanziamento illecito scatena il “popolo dei fax”, a Roma Craxi viene sommerso dalla pioggia di monetine davanti all’hotel Raphael dopo il rifiuto del Parlamento a concedere l’autorizzazione a procedere contro di lui. Poi, ma siamo già nel 1994, lo stesso pool minaccia le dimissioni per il decreto del governo Berlusconi che vuole limitare il carcere per i corrotti. Poi, però, i membri del pool seguono tutti strade diverse, in alcuni casi trovandosi uno contro l’altro. Di Pietro lascia la toga nel 1994, scendendo in politica e poi esercitando come avvocato. Più di recente, Francesco Greco, ex capo della procura di Milano, viene denunciato dal suo ex collega Piercamillo Davigo, ex membro del Csm, per le accuse e i veleni sulla gestione del fascicolo sulla “loggia Ungheria”.

Il clima di quegli anni nel racconto di chi c’era

“Visto da fuori, come visto da dentro – racconta oggi un cronista di quegli anni che preferisce non comparire – fu un terremoto. Dentro, erano in tanti, a sgomitare, per trovare uno spazio. Dai cronisti ai magistrati, dai politici agli imprenditori, dai manager agli agenti di polizia giudiziaria. I lettori, avidi di notizie, in quel tempo non ne potevano più del debito pubblico, dei lavori pubblici infiniti, del gigantesco malaffare. E i caduti per mano delle mafie avevano non solo indignato, ma fatto piangere. Tangentopoli sembrava la vendetta perfetta di chi si credeva onesto, o tale voleva apparire”.

Gli arresti per corruzione e concussione arrivano a ondate. Moltissimi cittadini sostenevano i magistrati, erano nato il pool Mani Pulite. E non pochi sostenevano la “Prima Repubblica”. Il tifo popolare era innegabilmente in maggioranza per le toghe, ma non è che corrotti e corruttori giocassero la partita fuori casa. Erano potenti.

Noi cronisti – continua il racconto il giornalista – abbiamo seguito centinaia e centinaia di racconti sugli appalti truccati. I soldi delle mazzette andavano alle segreterie, ma anche nelle tasche di chi maneggiava quei fiumi di denaro sporco. C’erano migliaia di tracce contabili. Ci sono state retate tra i controllori, dalla guardia di finanza ai magistrati romani, che si vendevano le sentenze”.

Come è nata la parola “Tangentopoli”

E la parola Tangentopoli? La genesi e la storia della parola è curiosa. Nasce prima di Tangentopoli e per mano di un cronista, Piero Colaprico di Repubblica, che segue un’indagine di tangenti accesa dalla Procura di Milano nel 1991 su tangenti a un funzionario di urbanistica.

“Mi era sembrata – scrive Colaprico – una vicenda meno brutale di altre simili, con una dinamica degna delle ideone sballate di un eroe dei fumetti, quelle che poi finiscono immancabilmente male: Paperino. E così, Paperino-Paperopoli, Tangenti-Tangentopoli”.

Milano diventa “la città della tangenti”: sarebbe meglio dire “la città delle tangenti che venivano scoperte” perché non è che in altre città non ci fosse la stessa, o più grave, corruzione. In ogni caso, Milano non era esente dal tema, che Repubblica seguiva con grande attenzione, anche per decisione del direttore, Eugenio Scalfari. Colaprico inizia a scrivere in vari articoli le sue “cronache di Tangentopoli”. Non se ne accorse nessuno fino all’arresto di Mario Chiesa. “Quando con il collega del Giorno, Paolo Colonnello, restando cinque ore davanti a San Vittore – racconta – scopriamo che Chiesa sta parlando, quel termine mi rispunta. E lo riutilizzo nelle settimane successive. Cronache di Tangentopoli. Nessuno se lo fila. Sarà un ignoto titolista delle cronache nazionali di Repubblica a “spararlo” in grossi caratteri. Ed è così che entra nell’immaginario”. Le televisioni lo riprendono subito, mentre i giornali, specie i diretti concorrenti, ci mettono un po’ di più. Poi cedono.

Il termine ha purtroppo figliato i vari Calciopoli, Concorsopoli e Vallettopoli, come se “poli”, invece di “città”, significasse “scandalo”, ma in qualche modo è rimasto intatto nel tempo. A futura memoria di tutte le inchieste giudiziarie.

Il contesto politico: la fine della I Repubblica

L’Italia del 1992 è un Paese a pezzi e non lo sa. A palazzo Chigi svernava un governo Andreotti. Craxi, di fronte all’arresto di Mario Chiesa, parla di “un mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine del partito…”. Ma la politica è già alla frutta prima che il ciclone di Tangentopoli la abbatta. La formula del Pentapartito agonizza. La Lega Nord di Umberto Bossi gonfia il petto e agita il cappio in Parlamento. Il quadro politico si sfarina. Mentre Tangentopoli è in pieno svolgimento arrivano le elezioni del 5 aprile 1992. L’astensionismo cresce e i partiti della Prima repubblica crollano: la Dc scivola al 29,6%, il Psi perde solo un punto, ma la sua credibilità è già perduta, Pri-Pli-Psdi tengono ma sono la pallida imitazione di loro stessi. Il Pds di Occhetto, che ha compiuto la svolta della Bolognina, perde 5 punti. Il Carroccio sfonda e vola, passa da 2 a 80 parlamentari in una notte. Viene messo in piedi un claudicante quadripartito da cui si sfila il Pri. Bisogna eleggere il nuovo presidente della Repubblica al posto di Cossiga. Tra i partiti volano gli stracci. Le candidature di Andreotti e Forlani si elidono a colpi di veti, poi arriva la notizia della strage di Capaci, il 23 maggio e il massacro di Falcone e della scorta. Sul Colle sale il vecchio notabile dc Scalfaro. Intanto, mentre le indagini continuano ad assestare colpi al sistema, frana anche l’economia. Archiviato il governo Andreotti, il suo ultimo, arriva Giuliano Amato, a giugno, e vara il primo salasso di 30 miliardi di lire nella manovra: patrimoniale sulla casa e prelievo forzoso sui conti correnti, i depositi bancari, del 6 per mille, che verrà definita “una intollerabile rapina”. Mentre fioccano gli avvisi di garanzia, a carico dei segretari di partito e dei loro tesorieri, dei sindaci come dei parlamentari, la lira finisce sotto attacco speculativo e Amato va in tv per annunciare la sua svalutazione del 3,5%. E’ la resa di uno Stato fallito. L’ultimo colpo al prestigio nazionale è l’uscita dallo Sme e, poi, la nuova maxi manovra da 93 miliardi di lire. Gli accordi sul costo del lavoro di luglio, che di fatto aboliscono la scala mobile, chiudono il cerchio. Il 1994 sarà un altro anno, con l’arrivo al governo di Berlusconi e gli avvisi di garanzia anche a lui, ma da quel punto in poi inizia tutta un’altra storia.