Politica
Manovra 2026, tra rigore dei conti e nodi su salari e fiscalità
Di Ilaria Donatio
La Legge di Bilancio 2026 entra nella fase decisiva: in Senato sono arrivati gli emendamenti e si apre una partita complessa, segnata da margini finanziari stretti e da richieste crescenti di famiglie, imprese e territori. Mentre la pressione fiscale resta stabile e i vincoli europei impongono prudenza, il Governo punta su una manovra che promette crescita, revisione delle aliquote IRPEF, sostegno al lavoro e un percorso di semplificazione del sistema fiscale. Le opposizioni, invece, contestano scelte giudicate insufficienti per affrontare inflazione, calo del potere d’acquisto e competitività del Paese.
Sul tavolo restano diversi nodi: il riordino delle agevolazioni, la revisione delle spese fiscali, gli effetti delle misure su redditi bassi e medi, fino al ritorno del tema sulle auto aziendali dopo le modifiche ai fringe benefit. È in questo contesto che, a Largo Chigi, il format di Urania Tv dedicato all’economia e ai conti pubblici, il confronto politico si è fatto particolarmente netto.
Da un lato Andrea De Bertoldi, deputato della Lega e componente della Commissione Finanze, che difende l’impianto della manovra e il ruolo della rottamazione fiscale. «Le leggi di bilancio, in tutti gli ultimi otto anni e con governi di ogni colore, non hanno mai superato la sufficienza nei sondaggi: è fisiologico, perché tutti vorremmo meno tasse e più servizi. Ma la politica deve guardare al lungo periodo. Giorgetti ha mantenuto la stella polare del deficit/Pil al 3%: significa rating migliore, meno oneri per mutui e imprese, più competitività internazionale. La rottamazione quinquies può riguardare fino a 16 milioni di italiani e non è un condono: permette di pagare ciò che è stato dichiarato eliminando sanzioni e interessi, evitando fallimenti fiscali e restituendo liquidità allo Stato». Il deputato leghista auspica inoltre «un’estensione agli accertamenti nati da interpretazioni divergenti, non agli evasori totali», per non espellere aziende vive dal sistema produttivo.
Opposto il giudizio di Daniele Manca, capogruppo Pd in Commissione Bilancio al Senato, che a Largo Chigi parla di una manovra «senza futuro». «Questa manovra viene definita prudente, ma in realtà nasconde l’assenza di visione. Prudenza non può essere incompatibile con un progetto per il futuro del Paese. L’Italia sta scivolando verso il declino e dopo quattro leggi di bilancio del governo Meloni si può già trarre un consuntivo: l’Italia viene tolta dal sentiero della crescita perché mancano misure strutturali, manca un’idea di sviluppo. Nulla sui salari, nulla sugli stipendi, mentre il potere d’acquisto è tra i più bassi in Europa e gli osservatori internazionali ci collocano ultimi o penultimi per crescita futura».
Per Manca, «se la priorità non è il lavoro ma il magazzino fiscale, vuol dire che abbiamo sbagliato tutto. Si creano aspettative distorte e il patto fiscale tra cittadini e Stato salta. Le risorse andrebbero invece usate per rafforzare l’accesso al credito e sostenere gli investimenti: un’impresa non si salva con una rottamazione, si salva se può crescere».
Nel dialogo tra rigore e sviluppo, l’esame parlamentare dirà se la manovra riuscirà veramente a conciliare prudenza e crescita o se resterà una battaglia politica destinata a riproporsi nei prossimi mesi.





