Esteri / Politica

Perché il Papa non ha mai preso le parti dell’Ucraina? Intervista con Piero Schiavazzi

21
Maggio 2023
Di Marco Cossu

La posizione del Vaticano nel conflitto russo-ucraino non è di facile lettura. In più di un anno di guerra il Papa ha evitato di pendere le parti di uno dei due principali attori in conflitto, fosse la vittima o l’aggressore. Un postura a tratti paradossale riassunta dal cardinale Parolin con il termine di “equivicinanza”, concetto complesso che se compreso ci aiuta a cogliere le ragioni dell’ “imbarazzo” del Papa durante l’udienza con Zelensky. La visita del presidente ucraino, avvenuta alla vigilia della controffensiva, è stato accolta infatti con tiepidezza di Vaticano. Il perché ci aiuta comprenderlo il Professor Piero Schiavazzi, docente di Geopolitica Vaticana della Link University.

Qual è la posizione del Vaticano sulla guerra in Ucraina?
«Quindici mesi (febbraio 2022 – maggio 2023) di politica del Vaticano sull’affaire ucraino si possono riassumere e contenere tra due momenti estremi e divaricati. Il 25 febbraio 2022, quando Francesco va a bussare alla porta dell’ambasciata russa autoinvitandosi al Cremlino per una mediazione, richiesta di un incontro con Putin che è stata però declinata. Per quindici mesi è stato invece invitato a Kiev. Invito che il Papa non ha accolto. Così, il 13 maggio, anniversario dell’apparizione della Madonna di Fatima, Zelensky si è autoinvitato ed è “apparso” in Vaticano, anche se il Vaticano non lo ha invitato. Quello che è arrivato a Zelensky è piuttosto un invito del governo italiano. Trovandosi a Roma ha chiesto quindi udienza, che in Vaticano non gli potevano negare».

Una posizione paradossale…
«Il cardinale Parolin con un raffinato esercizio dialettico, anziché di “equidistanza” parla di “equivicinanza”. Ha un suo senso e non è soltanto una forma di contorsionismo lessicale, ma non va comunque giù agli ucraini. Non ammetteranno mai – Zelensky lo ha detto a Porta a Porta – che vittima e aggressore vengano messi sullo stesso piano».

Come raccontare l’incontro tra Zelensky e il Papa?
«La cornice in cui si svolto l’incontro è anomala sotto il profilo del protocollo e imbarazzante nella sostanza per il Vaticano. L’obiettivo di Zelensky era di rompere l’equidistanza o “equivicinanza”, secondo la definizione del Cardinale Parolin. Il presidente ucraino si è autoinvitato perché cercava una benedizione per l’imminente controffensiva. Nel linguaggio delle immagini avrebbe potuto essere frainteso e interpretato come imprimatur e assumere il taglio della crociata. È come se fosse venuto a cercare, insieme alle armi materiali (nel suo tour Roma-Berlino-Londra-Parigi) l’arma spirituale. Unitamente a un sostegno “alla nostra proposta di pace”. Nelle dichiarazioni a caldo Zelensky ha pronunziato una frase fortissima: “Non abbiamo bisogno di mediatori”. Ma solo un sostegno “alla nostra proposta di pace”».

Lei ha parlato di “imbarazzo”.
«Il Papa si oppone alla logica e all’obiettivo unico della vittoria, perseguito dalla due parti, perché ritiene probabile che, al posto della vittoria, si arrivi piuttosto a un’escalation nucleare. Per questo l’incontro si è concluso che un nulla di fatto, consentendo al Papa di mantenere la posizione di equidistanza o equivicinanza, che al momento sembra inutile, ma che se la situazione dovesse precipitare potrebbe consentirgli di fermare la mano sul pulsante nucleare. Ecco perché ha fatto e sta facendo di tutto per non passare come il cappellano dell’Occidente, a differenza di Kirill, ormai etichettato quale “chierichetto” di Putin. Ciò gli sta costando però un prezzo altissimo, a motivo della perdita di consenso a Ovest e tra il popolo ucraino. È un prezzo che paga lucidamente. Sarà la storia a dirci se anche lungimirantemente».

Un atteggiamento di non facile interpretazione…
«Un atteggiamento singolare e da spiegare. Nella storia degli ultimi pontificati non era mai accaduto che un Papa parlasse così insistentemente di una guerra. Nemmeno Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale, nemmeno Wojtyla con la guerra del Golfo. Sono ad oggi circa duecento gli interventi sulla guerra in Ucraina. E a farlo è paradossalmente un Papa che chiede, contestualmente, di non essere eurocentrici, di non dimenticare gli altri conflitti, le guerre nel Corno d’Africa, in Myanmar, nello Yemen, ad Haiti. Per non parlare della Terra Santa. All’inizio, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo viene perfino accusato dai media occidentali di un atteggiamento troppo distaccato, se non addirittura distratto. Poi, invece, succede il contrario. Ne parla come nessun altro. Dovremmo quindi concludere che strada facendo si è convinto della unicità e diversità di questa guerra, capace di fare da catalizzatore a tutte le altre».

Ci spieghi la ragione.
«Finora la descrizione che Francesco aveva fatto del mondo era quella di una pelle di leopardo, macchiata dai conflitti sparsi qua e là, in maniera omogenea. Ha sempre parlato di “guerra mondiale a pezzi”. Questa invece è per lui la guerra delle guerre. Quella che può saldare tra loro tutti i pezzi del puzzle e trasformare la “guerra mondiale a pezzi” in guerra mondiale tout court. È una guerra che come un magnete sta costringendo e obbligando, nolenti o dolenti, tutti a schierarsi. Pensiamo soltanto all’Italia: non ha mai ha inviato così tante armi come oggi. Durante la Guerra Fredda c’erano i non allineati, sebbene simpatizzanti per una parte o per l’altra. In questo caso invece il concetto stesso di non allineamento sembra venire meno. Il Papa pensa che una guerra mondiale oggi possa portare all’apocalisse nucleare. Per Bergoglio questa guerra arriva dopo una crisi pandemica, dopo una crisi climatica, dopo una crisi economica. Questa è la quarta crisi, quella bellica. È come se fosse il quarto, quello fatale, dei quattro angeli dell’Apocalisse a cui “è stato dato il potere di devastare la terra e il mare”. Il Papa avverte questa congiuntura escatologica».

Quanto il Vaticano reputa possibile l’apocalisse nucleare?
«Se la controffensiva dovesse portare le truppe ucraine alle soglie della Crimea, e gli ucraini in questo momento in termini di esercito e armi convenzionali sono più forti, Putin potrebbe sentirsi come il topo di cui parla nella sua biografia, che messo all’angolo passò all’attacco e lo morse, nella vecchia casa di Leningrado, oggi Sanpietroburgo. stesso Putin. E il morso in questo caso equivale al pulsante nucleare».

Cosa pensano i cattolici ucraini dell’ ”equivicinanza” del Vaticano? 
«Si metta nei loro panni. Esiste una consistente minoranza, gli uniati, sono 6 milioni. Il Papa negli ultimi anni ha nominato cardinali in paesi come il Bangladesh, il Myanmar, il Laos, dove i cattolici sono tra lo 0,5 e l’1%. Bergoglio è “il Papa della globalizzazione” nel senso che, dovendo scegliere tra l’Europa e il mondo, sceglie il mondo. Lo dimostra la scelta dei cardinali. L’Ucraina in precedenza aveva sempre avuto un cardinale. Ma ora, da 10 anni a questa parte, in 8 concistori è rimasta senza, chiaro segno di una scelta politica. Eppure se esiste una chiesa martire per la propria fedeltà al Papa, prima sotto gli zar poi sotto Stalin, è propri quella ucraina. Gli uniati sono stati storicamente perseguitati e deportati in Siberia».

Chi sono gli uniati?
«Sono i cattolici di rito greco-bizantino. Nel 1596 quando l’Ucraina occidentale era finita sotto il dominio dei re di Polonia, per non essere considerati cittadini di serie b si unirono a Roma. Da qui la parola uniati. Ottennero di poter conservare il rito greco-bizantino e la possibilità per i loro preti di sposarsi. Tutt’ora i preti cattolici ucraini di rito greco-bizantino si sposano. Si tratta della chiesa più perseguitata. Quell’unione sancita a Brest in fondo rappresentò il primo trattato di associazione dell’Ucraina all’Occidente. Fenomeno analogo a quello che si ripropone quattro secoli dopo in ambito economico, quattro secoli dopo. In singolare analogia, infatti, quando nel 2014 l’Ucraina stava per associarsi all’Unione Europea, le veniva consentito di non osservare i rigidi “riti” burocratici brussellesi, ma di conservare le proprie procedure più flessibili, da un lato, e dall’altra di non abbracciare la “castità monetaria” imposta da Francoforte. Per Putin l’uniatismo è dunque un fenomeno politico che comporta la progressiva incorporazione di pezzi dell’Oriente all’Occidente, senza olologarlo ma consentendogli di conservare le proprie tradizioni. È per questo che gli uniati sono stati storicamente perseguitati. Francesco è consapevole del fatto che l’uniatismo è il principale ostacolo nel cammino dei papi verso Mosca. Ed è per questo che non ha nominato un cardinale ucraino, sebbene l’attuale candidato, l’Arcivescovo Maggiore Svjatoslav Ševčuk, venisse proprio da Buenos Aires e si conoscesse personalmente con il Papa. Wojtyla l’avrebbe fatto immediatamente Cardinale, Ratzinger anche. È il prezzo che il Papa sta pagando, in termini di consenso presso la base dei cattolici ucraini, per mantenere la equidistanza, o equivicinanza, tra Est e Ovest».

Vaticano e Cina, entrambi si pongono in posizioni simili. 
«C’è una grande somiglianza tra l’approccio del Vaticano e quello della Cina. Nessuno di noi ha capito bene quale sia il piano cinese, ha detto che la sovranità va rispettata ma non dice che i russi devono restituire il Donbass e la Crimea. Se ascoltiamo le dichiarazioni del Papa lui dice che i confini degli stati non devono essere violati ma anche lui non dice che Donbass e Crimea debbano essere restituiti. Si somigliano molto nel detto e non detto. Se lei mi dovesse ora chiedere, “il Papa da questa guerra esce più lontano o più vicino alla Cina?,” le risponderei molto più vicino».

Vaticano e Stati Uniti, come leggiamo questo rapporto?
«È una lettura facile perché il Papa è consapevole di assistere a un conflitto indiretto, e nemmeno troppo indiretto, cioè per interposta Ucraina, tra Stati Uniti e Russia. In questa cornice, risulta interessante il fatto che questo Papa, che ha rappresentato una sorta di antitesi antropologica rispetto a Trump, oggi si trovi molto più vicino a lui che a Biden. In una recente intervista Trump ha detto di non essere interessato a vincere, ma a che la gente smetta di morire. Biden invece vuole vincere».

Il Vaticano cosa farà ora? Cercherà un ruolo da mediatore?
«Adesso che è caduta, almeno per ora, l’ipotesi di mediazione, in Vaticano si parla di “missione”, il che può voler dire molto o poco. Nell’accezione di missione c’è la possibilità di frapporsi tra i belligeranti. Per esempio potrebbe trovarsi nelle condizioni di fermare Zelensky, se la controffensiva dovesse giungere fino in Crimea, per evitare che Putin prema il bottone nucleare…».

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