Politica

Semenzato: dall’educazione finanziaria agli uomini alleati: così si cambia il paradigma sulla violenza di genere

05
Dicembre 2025
Di Marta Calderini

(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
La violenza contro le donne è un fenomeno strutturale con ricadute sociali ed economiche per il Paese. Secondo l’On. Semenzato, Presidente della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul femminicidio, per affrontarla serve un “patto di corresponsabilità” che coinvolga ogni rappresentante della società civile, a tutti i livelli. 

Onorevole, tra il ddl femminicidio e la riforma sul consenso, il nostro ordinamento cambia. I prossimi passi? 

«Si deve lavorare per creare una nuova sensibilità giuridica in relazione ai reati spia. Sempre più spesso si sente parlare di “delitti annunciati” frutto della sottovalutazione del racconto della vittima. L’incapacità di cogliere i segnali di pericolo, ad opera di chi riceve la denuncia, espone a rischio la vita stessa di chi, con coraggio, ha deciso di porre fine ad una vita fatta di violenze. La mancanza di una specifica formazione, poi, trasforma il processo penale in un calvario per la persona offesa che, spesso a distanza di anni, è chiamata a ripetere fatti dolorosi che nel frattempo ha cercato di dimenticare. La nuova legge sul femminicidio prevede un potenziamento delle iniziative formative per i magistrati e per gli operatori sanitari in materia di violenza contro le donne e violenza domestica. La formazione avrà ad oggetto le convenzioni e le direttive sovranazionali in materia di contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica, anche economica, i diritti umani, i pregiudizi e gli stereotipi giudiziari, la matrice culturale del fenomeno e la promozione di modalità di interazione con le persone offese idonee a prevenire la vittimizzazione secondaria, tenendo conto dell’entità del trauma e nel rispetto delle condizioni soggettive e dell’età delle vittime, e di un’efficace e necessaria collaborazione con i soggetti che operano nel settore della prevenzione e del contrasto alla violenza contro le donne o domestica».

Lei ha spesso ricordato il legame tra mancanza di autonomia economica e rischio di restare in relazioni violente.
«Troppe donne in Italia, ancora oggi, dipendono economicamente da un partner o da altri familiari. Questo non solo limita le loro possibilità di autodeterminazione, ma spesso le espone a situazioni di vulnerabilità e persino di violenza. Garantire alle donne pari opportunità nel mondo del lavoro significa rafforzare uno dei pilastri fondamentali della libertà individuale: l’indipendenza economica. Molte donne vittime di violenza non sanno tutti gli strumenti che hanno a disposizione per uscire dalla violenza economica: il reddito di libertà è stato aumentato e strutturato, il microcredito di libertà, l’assegno di inclusione, gli sgravi fiscali per le aziende che assumono vittime di violenza, la sospensione del mutuo. Quindi lavorare sulla consapevolezza e l’informazione alle donne è fondamentale. Dobbiamo innanzitutto promuovere percorsi di educazione finanziaria nelle scuole, l’educazione economica a scuola fin dalla materna ma anche nei luoghi di lavoro, attraverso iniziative rivolte alle donne adulte. Ritengo che al welfare pubblico deve legarsi anche il welfare aziendale e oggi aggiungerei anche il welfare familiare. Cambiare all’interno della famiglia i carichi di lavoro assistenziale, questo è cambio culturale. Si deve ragionare, inoltre, sulle agevolazioni fiscali alle donne che rientrano nel mercato del lavoro».

Quanto costa al nostro Paese la violenza di genere?

«La parità di genere non è solo più una questione di valori, aggrava la realtà economica di un Paese, sicuramente la disuguaglianza costa all’Italia e non solo anche all’Europa, perdita di produttività, gettito fiscale e potenziale crescita a lungo termine. Dobbiamo quindi trattare le donne come attori economici alla pari. Per affrontare efficacemente il problema, sono necessarie politiche che vadano oltre la risposta emergenziale e che affrontino le cause profonde delle disuguaglianze e della violenza. Ciò include la promozione dell’indipendenza economica delle donne, la prevenzione e il cambiamento culturale. Un indicatore stabile del costo della violenza di genere sarebbe utile nel dibattito parlamentare e nella legge di bilancio per orientare meglio le risorse e le priorità, poiché permetterebbe di quantificare l’impatto economico e sociale del fenomeno e di giustificare investimenti mirati. Questo strumento permetterebbe di misurare i costi diretti (sanitari, giudiziari) e indiretti (perdita di produttività, costi sociali) della violenza, e anche allocare risorse destinate alle attività di prevenzione (es. campagne di sensibilizzazione, educazione) rendendo più concreto il dibattito».

Lei parla di un “patto di corresponsabilità” che riguarda anche i media, cosa intende? 

«Famiglia, scuola, società civile e politica. Questo è il patto di corresponsabilità. Un lavoro sinergico. Nessuno di questi ambiti va esautorato ma il dialogo e la relazione devono essere forti. Banche, imprese, associazioni, media economici, sono tutti chiamati a questo patto con un ruolo cruciale: preventivo e di supporto alle donne e alla loro indipendenza. Agli istituti finanziari servono strumenti quali il supporto economico diretto, la formazione del personale e le campagne di sensibilizzazione. Alle aziende programmi di supporto e inclusione, formazione in tema di sicurezza, certificazione di genere, pari opportunità e parità salariale, creazione di reti. In tema di comunicazione spesso assistiamo a una ossessione giornalistica sulla violenza di genere. Esiste il diritto di cronaca, ma anche un dovere etico. Più volte ci confrontiamo sulla tendenza dei media a dedicare una continua, eccessiva, morbosa e spesso sensazionalistica attenzione a episodi di violenza, in particolare crimini efferati come i femminicidi. Dettagli cruenti, chat private, retroscena che nulla aggiungono all’indagine, trasformando il fatto in “spettacolo della violenza”. Obiettivo? Generare clickbaiting». 

Il cambiamento, però, non può essere solo responsabilità delle donne.

«Abbiamo bisogno di alleati, di “uomini alleati” che scelgano di supportare attivamente con la loro voce e il loro vissuto le donne. Si deve lavorare sul cambiamento culturale, il superamento degli stereotipi. Non salvatori delle donne, ma interlocutori per promuovere relazioni paritarie in famiglia, nella società e nel lavoro. Loro devono essere sentinelle e testimonianza. La mia grande soddisfazione: uno degli ultimi eventi promossi dal Taccuino “Nuovi linguaggi contro la violenza di genere” aveva un panel di relatori tutti al maschile, con domande fatte solo da studenti maschi! Cambiamo il paradigma!»