Politica

La posizione che manca sul caso Vannacci 

21
Agosto 2023
Di Daniele Capezzone

Nell’ultimo weekend è scoppiato un clamoroso caso. Il generale Roberto Vannacci, comandante dell’Istituto geografico militare di Firenze (e già titolare di ruoli di guida nelle missioni in Afghanistan e in Iraq), ha autopubblicato un libro (dal titolo “Il mondo al contrario”), con una serie di assai discutibili osservazioni su svariati temi sensibili. I suoi sostenitori hanno parlato di stralci estrapolati ad arte per attaccarlo; i suoi avversari hanno avuto gioco facile a sottolineare alcune frasi (alcune in tema razziale, altre sulla “non normalità” degli omosessuali) francamente imbarazzanti. 

Risultato? Il generale è stato rimosso dal comando dell’Istituto, assegnato ad altro incarico, e – realisticamente – sarà sottoposto a un procedimento disciplinare (di cui ovviamente ora ignoro l’esito, così come confesso di non sapere se, pubblicando il libro, abbia violato regole o codici di condotta). Intanto, il suo saggio è schizzato in testa alle classifiche Amazon, e per qualche giorno l’Italia dei social si è fermata a discutere di lui. 

Confesso di essermi sentito scarsamente a mio agio tra i due maggiori fronti in lotta: da un lato, quelli che hanno difeso Vannacci, ma in realtà – mi è parso – solo perché condividono più o meno alla lettera ciò che ha scritto; dall’altro, quelli che lo hanno attaccato selvaggiamente (tra richieste di radiazione e pubblica gogna) soltanto perché detestano le sue tesi. 

Cos’è mancato, a mio avviso, con eccezioni più rare di un quadrifoglio? La posizione liberale pro free speech: quella di chi difende la libertà di parola di Vannacci nonostante il dissenso dai suoi contenuti. Anzi, ancora più precisamente: quella di chi difende la sua libertà proprio perché non condivide il contenuto delle parole di Vannacci. 

Diciamolo con una chiarezza a prova di bomba. Il free speech è come il garantismo: non può essere applicato e richiesto solo per gli amici. In altre parole, stai davvero contribuendo a una società libera e aperta se difendi la possibilità di parlare anche di chi dice cose per te detestabili. Sveliamo un segreto agli illiberali di ogni tipo: puoi difendere la libertà di speech di qualcuno e al tempo stesso puoi dire che quello speech è orribile. Ma se attacchi o difendi la possibilità altrui di parlare solo in base alla tua condivisione nel merito di quelle parole, sei in una logica di guerra per bande. Altro che libertà.

Dopo di che, ammetto che il fatto che l’interessato (Vannacci) vesta una divisa rende la discussione più complicata. Si può sostenere (lo ha fatto lo storico Marco Gervasoni) che lo svolgimento di alcune funzioni (militari, magistrati, ecc) richieda “neutralità” e dunque una speciale auto-continenza nell’esercizio della libertà d’espressione. E si tratta di una tesi che ha una sua indubbia solidità: peccato che troppe volte (non certo per responsabilità di Gervasoni, sia chiaro) si sia consentito a funzionari pubblici di proclamare convinzioni di tutt’altro segno politico e culturale (e che lo “scandalo” sia scoppiato solo in presenza di tesi sgradite al mainstream progressista). Personalmente, mi convince molto di più l’approccio del giurista Rocco Todero: puoi punire il Vannacci della situazione se per caso, nell’esercizio delle sue funzioni, ha adottato comportamenti o decisioni discriminatorie verso chicchessia; ma non puoi punire un suo pensiero. In altre parole, in un sistema liberale si devono penalizzare gli atti, non le idee, a meno di incamminarci sul pericolosissimo sentiero di richiedere una preventiva adesione ad una “verità di Stato”. 

A ben vedere, a mio avviso, c’è un errore di fondo, un vizio logico e culturale che accomuna sia i peggiori censori sia tante persone in buonissima fede. E si tratta dell’illusione/convinzione che su alcuni temi (sesso, razza, ecc) il dibattito sia ormai definitivamente chiuso e ogni discussione sia ormai superflua, essendoci un solo approccio “ammesso”. Ma non è così: per quanto alcune opinioni siano magari detestabili, non le si può espellere per decreto o declassare a non-opinioni (in quanto sgradite). Sul ring delle idee, il match è sempre in corso. E chi si ritiene depositario delle tesi migliori o più giuste, deve saper sferrare e parare colpi, senza confidare nel fatto che l’arbitro impedisca all’avversario di muoversi o lo squalifichi. 

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