Venti giorni dopo le elezioni del 4 marzo, la Camera dei Deputati e il Senato hanno riaperto i battenti dando ufficialmente il via alla XVIII Legislatura. Si comincia con l’elezione dei due presidenti, passaggio nodale in quanto rivelatore degli equilibri in via di formazione fra le forze parlamentari. Senza entrare nel merito dei diversi tecnicismi elettorali che distinguono Palazzo Madama e Montecitorio (diremo soltanto che l’elezione è più complessa alla Camera e che richiede un accordo tra le avverse forze politiche), l’occasione è propizia per guardare più da vicino a ruolo e prerogative della seconda e terza carica dello Stato. Si tratta, difatti, di due figure fondamentali che vengono scelte dalla maggioranza di deputati e senatori per organizzare e moderare l’attività politica del Parlamento. In ballo c’è da provvedere al corretto funzionamento delle camere applicando il regolamento, valutando la ricevibilità dei testi di legge e dirigendo le discussioni. Il loro lavoro più importante si svolge però fuori dell’aula, nei vari organi che fanno parte delle due camere e che essi presiedono. Qui vengono decisi i regolamenti, si stabilisce il bilancio e, soprattutto, viene preparato il calendario dei lavori parlamentari. Al presidente del Senato, inoltre, è demandato il compito di esercitare le funzioni del Capo dello Stato nel caso in cui questi non possa svolgerle poiché impossibilitato. Il c. d. Presidente Supplente della Repubblica può anche fregiarsi di un’insegna per il periodo in cui si trova in carica – un quadrato bianco bordato di azzurro con al centro il simbolo della Repubblica – come stabilito da Francesco Cossiga quando era presidente del Senato a metà degli anni Ottanta. L’ordine delle cariche è stato invece formalizzato nel 2006, con gli occupanti dei due scranni parlamentari più alti a sopravanzare una carica squisitamente politica come quella del presidente del Consiglio forti del ruolo apicale che essi detengono in seno alle istituzioni. I due presidenti sono infatti i veri garanti del processo legislativo, un fatto che da solo spiega l’ampia convergenza politica richiesta per la loro elezione. Si pensi che fino al 1987 l’elezione alla Camera e al Senato è sempre arrivata alla prima votazione. A partire da quel momento, la tendenza – soprattutto a Montecitorio – è invece per le quattro votazioni, mentre la logica consensuale della Prima Repubblica lasciava il campo a quella maggioritaria e alla ripartizione degli incarichi tra le forze politiche di una coalizione di governo. Riavvolgendo i nastri della storia politica repubblicana, le presidenze delle camere si stagliano come punti di riferimento e figure di stabilità a fronte di esecutivi mutevoli e troppo spesso infragiliti. Tale è il loro ruolo di garanzia nel nostro sistema che i presidenti sono i primi a essere consultati dal Capo dello Stato in caso di crisi di governo o durante le consultazioni per formare un nuovo esecutivo. Per questo motivo, sarebbe cosa giusta e saggia guardarsi dalla tentazione di derivare con precisione matematica lo schema di costituzione di una maggioranza di governo da quello di elezione dei vertici del Parlamento.
Alberto De Sanctis