Politica

Il governo gialloverde fa scattare il riflesso pavloviano europeo

18
Maggio 2018
Di Redazione

Al culmine di una settimana di trattative piuttosto serrate, M5s e Lega hanno ultimato il negoziato per scrivere il programma del fatidico “governo del cambiamento”. Davanti ai due mattatori della tornata elettorale del 4 marzo si staglia ora la prova sicuramente più impegnativa di questa lunga fase negoziale:
sciogliere il nodo legato attorno al nome del primo ministro, una decisione cruciale in quanto determinante per comporre a cascata l’intera squadra di governo. Le trattative proseguono a ritmi serrati: scartata l’idea della staffetta, Luigi Di Maio e Matteo Salvini paiono orientati a scegliere un premier politico. Troppo rischioso, difatti, affidare a personalità esterne ai due partiti il compito di applicare il contratto. In attesa di conoscere il nome che lunedì verrà sottoposto al presidente Sergio Mattarella, le schermaglie delle ultime ore dicono che il segretario leghista sarebbe pronto a cedere il premierato ai Cinquestelle in cambio di ministeri “di peso” da far valere presso la propria base elettorale. Al tempo stesso, sono in molti a ritenere che la folta margherita di nomi sfogliata giusto in queste ore dal leader politico del Movimento non sia che una cortina fumogena dietro cui far avanzare in tutta sicurezza la propria candidatura. Due sono le certezze di un frangente tanto tribolato. Da un lato, il fatto che il trascorrere dei giorni sta facendo tramontare la possibilità di un ritorno alle urne già nel mese di luglio, scenario che complice l’eventuale rottura dell’asse gialloverde potrebbe spingere il Capo dello Stato a ricorrere alla carta del governo neutrale in quanto ultima ratio regum.


Dall’altro, la decisione del Tribunale di Milano che ha permesso a Silvio Berlusconi di tornare prima del tempo di nuovo candidabile, sviluppo che consentirà all’ex premier di far pesare il proprio ruolo nei rapporti con Matteo Salvini. Nel mentre, in settimana, a tenere banco sono stati i temi più divisivi contenuti nel patto M5s-Lega. Fra questi, quale atteggiamento tenere nei confronti dell’Europa sui migranti, i programmi di politica fiscale, il piano di realizzazione delle grandi opere come Tav e Tap, persino il mantenimento dell’irreversibilità dell’euro. Com’era prevedibile, sono state soprattutto le anticipazioni in materia di immigrazione e bilancio pubblico a scatenare la reazione europea, con critiche che lette a posteriori suonano come il riflesso pavloviano di chi per anni ha dovuto subire il bombardamento pentastellato-leghista. E chissà che non siano stati proprio gli strali del famigerato “vincolo europeo” a favorire il compattamento dei due partiti nelle fasi più complesse del negoziato. A tal proposito, è bene segnalare come il tema delle relazioni con Bruxelles occupi il penultimo posto nelle priorità del governo del cambiamento alle spalle di questioni come “gioco d’azzardo” e “impianti sportivi”. Di sicuro c’è che per il rapporto
con le autorità europee passerà buona parte della credibilità davanti agli elettori di M5s e Lega, un fatto che può spiegare il presunto via libera del segretario leghista all’arrivo di un primo ministro Cinquestelle a Palazzo Chigi.

 

Alberto de Sanctis