Politica

Deposito scorie, Pichetto: deciderà il governo se i territori non si esprimono

25
Giugno 2025
Di Ilaria Donatio

Nessuna autocandidatura da parte degli enti locali per ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Lo ha riferito il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel corso dell’audizione alle Commissioni riunite Attività produttive e Ambiente della Camera, dedicata al tema dello smaltimento delle scorie nucleari e allo sviluppo delle energie rinnovabili.

Al centro dell’intervento, l’aggiornamento sullo stato di avanzamento del Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, e in particolare sul complesso iter di localizzazione, autorizzazione e realizzazione del Deposito nazionale.

Dopo la pubblicazione, lo scorso dicembre, della proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), che individua 51 possibili siti, non sono arrivate manifestazioni di interesse da parte degli enti territoriali né dal ministero della Difesa. Di conseguenza, ha spiegato il ministro, è stata avviata la Valutazione ambientale strategica (VAS), attualmente in corso, che prevede il coinvolgimento di soggetti competenti in materia ambientale e, successivamente, una fase di consultazione pubblica.

«Una volta ricevuto il parere di scoping della Commissione tecnica Via/Vas, la Cnai e l’ordine di idoneità saranno approvati con decreto del Mase, di concerto con il Mit e previo parere dell’Isin», ha sottolineato Pichetto.
Se non si dovesse raggiungere un’intesa con i territori, la decisione finale sul sito sarà presa con decreto del Presidente della Repubblica, su delibera del Consiglio dei ministri e con la partecipazione del presidente della Regione interessata.

I numeri del nucleare in Italia
Pichetto ha poi fornito un quadro aggiornato, basato sui dati ISIN: al 31 dicembre 2023 in Italia risultano 32.663 metri cubi di rifiuti radioattivi, in crescita del 5% rispetto al 2022. La quota maggiore è rappresentata da materiali a bassa e molto bassa attività. Il Lazio è la regione che ne detiene di più (oltre 10.500 mc, pari al 32,3% del totale), seguita da Lombardia, Piemonte e Basilicata.
In termini di radioattività complessiva, è il Piemonte a primeggiare, con il 79,3% del totale nazionale.

Quanto al combustibile nucleare esaurito, ne restano in Italia circa 15,8 tonnellate di metallo pesante. Il 99% del combustibile irraggiato proveniente dalle centrali dismesse è stato già inviato per il riprocessamento in Francia e nel Regno Unito. Da queste attività torneranno in Italia 35,87 metri cubi di rifiuti ad alta attività e 47,58 metri cubi a media attività, contenuti in circa 780 metri cubi complessivi di cask metallici per trasporto e stoccaggio.

In questo contesto, è in corso anche una ridefinizione dell’accordo di Lucca con la Francia, che regolava la restituzione post-riprocessamento. L’intesa includerà i cosiddetti diritti di prelievo, ovvero la possibilità per i partner francesi di trattenere parte delle scorie per ricerche sul nucleare di quarta generazione, in cui i materiali riprocessati possono tornare a essere combustibile.

Tempistiche e sensibilità dei territori
Le stime attuali di Sogin indicano il 2029 come orizzonte per il rilascio dell’autorizzazione unica e il 2039 per la messa in esercizio del deposito. Ma al di là della procedura tecnica, il ministro ha riconosciuto la complessità del confronto con le comunità locali.

«Questi temi animano i territori, che avvertono un senso di minaccia legato alle scorie nucleari o all’installazione – a volte percepita come selvaggia – di impianti rinnovabili. Serve un quadro chiaro e voci autorevoli per riportare nei giusti binari le legittime preoccupazioni, spesso alimentate da un effetto Nimby marcato».