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Rovelli, Crosetto e la guerra in Ucraina

05
Maggio 2023
Di Enrico Colorni

Rovelli e il principio di non contraddizione 

Carlo Rovelli è un eminente fisico italiano e uno dei suoi tanti libri, “Sette brevi lezioni di fisica”, è stato un best seller. Ma chi, pur amando i misteri della fisica che racconta così bene, ove se ne appassioni non può che dirsi un ‘dilettante’: la fisica, specie quella quantistica, è materia assai complessa e ostica. Rovelli, dunque, non si adonterà se lo si definisce come un ‘dilettante’ in materia di politica, geopolitica, politica estera, etc. Con una battuta, si potrebbe dire “Calzolaio fermati alle scarpe”, in questo caso scarpe dalle ‘stringhe’ quantistiche. Del resto, le ‘esternazioni’ di Rovelli su temi che non gli competono e su cui, forse, dovrebbe astenersi dal dare giudizi affrettati, stante la sacrosanta libertà di manifestazione di pensiero di chiunque, non si contano. Qualche tempo fa Rovelli si chiese se i militanti dell’Isis avessero «altrettanta sconsiderata generosità e passione di quanti andarono a combattere Franco durante la guerra civile spagnola» (sic). Una teoria della relatività che può andare bene in fisica, ma applicarla a dei tagliagole, che bruciavano vivi i loro prigionieri, vale un pò meno. 

Le idee confuse di Rovelli sulla Resistenza

Anche sulla Resistenza Rovelli ha le idee assai confuse. «Non sono sicuro che la nostra sia stata una guerra di liberazione – ha detto in tv – ». A tal punto che la FIAP (Federazione italiana associazione partigiane) ha scritto a Crosetto, nella persona del suo presidente, Luca Aniasi, per esprimergli tutta la sua solidarietà definendo “il ministro e le Forze armate un presidio per la difesa della sicurezza e della libertà dell’Italia” proprio in merito agli attacchi ricevuti da Rovelli. Un bello smacco per il pacifista ‘partigiano’…

Resta che, per Rovelli, la storia e l’interpretazione ufficiale della Resistenza come insurrezione nazionale che ha riscattato l’Italia sono false? Il dubbio resta. Se un esponente della destra avesse pronunciato le tesi di Rovelli sulla Resistenza, sarebbe stato tacciato di nostalgia per il fascismo. A volte, insomma, il principio di non contraddizione si prende le sue belle rivincite…

Rovelli ha anche paragonato l’invasione russa dell’Ucraina ai bombardamenti dell’Arabia Saudita in Yemen, “ma in tv si parla di Ucraina, non di Yemen”. Gli sfugge tuttavia che si tratta di un conflitto sostenuto dalla comunità internazionale, guidato dai Sauditi sotto l’egida delle Nazioni Unite, per liberare lo Yemen dagli Houthi, un gruppo terroristico. 

Confusione tra democrazie e regimi totalitari

Ma per Rovelli, non c’è distinzione tra un sistema politico democratico e un sistema autocratico: fare la guerra è un male, a prescindere. Sulla base di questo assioma, le democrazie occidentali non avrebbero dovuto reagire alle mire egemoniche della Germania nazista e la guerra di Liberazione non avrebbe mai dovuto nascere e svilupparsi in quanto i combattenti erano ‘guerrafondai’. Bella contraddizione per chi si dice uomo di ‘sinistra’. Le armi, purtroppo, servono. Per riconquistare la libertà, difendersi da un’invasione, garantire la pace, e non è affatto un paradosso quantistico. 

Rovelli contro Crosetto ‘piazzista d’armi’…

Rovelli, come si sa, dal palco del primo maggio, nella sua intemerata su pace e guerra (“Stiamo andando verso una guerra che cresce e, invece, di cercare soluzioni i Paesi si sfidano, invadono, soffiano sul fuoco della guerra e la tensione internazionale non è mai stata così alta come adesso”), tenuta senza alcun contradditorio, ha accusato il ministro della Difesa del Governo Meloni, Guido Crosetto, di essere un “piazzista di strumenti di guerra” che costruiscono strumenti di morte “per ammazzarci l’un l’altro”. Ma quale è la ‘colpa’ di Crosetto? Essere stato presidente dell’Aiad (Federazione Aziende italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) e consulente di Leonardo, anche se contestualmente alla nomina a ministro, mi sono dimesso da tutti gli incarichi prima ricoperti. Ergo, zero conflitti d’interesse e sin da subito.

Insomma, nel mondo parallelo di Rovelli è come se le competenze pregresse di Crosetto siano, invece che un punto a favore (conoscere da dentro come funzionano le aziende del comparto vuol dire non farsi ingannare o fuorviare quando, da ministro, tratti con esse) un’onta e un demerito di cui doversi vergognare. È come se chi, fino al giorno prima, ha fatto il chirurgo di fama in un grande ospedale privato fosse ‘inabile’ o in ‘conflitto di interesse’ se diventa ministro della Salute. Un’assurdità, fisica e quantistica, oltre che politica. Crosetto si è detto in ogni caso pronto a “un pubblico confronto su pace&guerra con chiunque (Rovelli o altri) voglia discutere di fatti e questioni così importanti con un approccio non ideologico, senza basarsi sui pregiudizi”. 

Le cifre. L’industria (privata) della Difesa è un volano di crescita, sviluppo, occupazione

Tanti, però, sono i pregiudizi, non solo di Rovelli, sul mondo dell’industria militare e delle armi. Tralasciamo per un attimo il personale militare (150 mila sono gli organici delle Forze armate, di cui 18.300 ufficiali, 40.670 sottufficiali, 91.030 truppe volontarie), che ha subito numerosi tagli, anche perché riteniamo che neppure Rovelli voglia seriamente credere che un qualsiasi Paese e Nazione al mondo posso vivere ‘senza’ esercito, o aviazione, o marina, anche solo per difendersi. 

Parliamo, invece, del settore privato, quello in cui lavorava, prima di diventare ministro, Crosetto, e che riguarda colossi e fiori all’occhiello dell’industria italiana come Leonardo, Finmeccanica, Fincantieri, Almaviva, Mbda, tutte aziende che sono rappresentate, dal 2010, dall’Aiad, la ‘Confindustria’ del settore, oggi presieduta da Giuseppe Cossiga e, fino al 2022, proprio da Crosetto, per un totale di 180 aziende. 

Cosa e quanto incuba in Italia il settore Ad&S

Parliamo, dunque, del settore dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza (AD&S) che comprende le aziende ad alta tecnologia operanti nel settore aerospaziale, civile e militare (domini aereo, navale e terrestre) e che ha il suo ‘sindacato’, appunto, nell’Aiad. Se l’intera industria europea AD&S (18 i Paesi concorrenti) ha fatturato (dati del 2019) 260 mld di euro, occupando quasi 900 mila addetti, sono cinque paesi a farla da padrone (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna) rappresentando il 70% di tutta la produzione Ue. 

E se i livelli di spesa europei per la Difesa, oggi e storicamente, si attestano su grandezze più basse di quelle degli Usa (fra i 18 Paesi solo sei hanno superato, nel 2019, e 10 nel 2020, il target raccomandato dalla Nato del 2% di Pil: tra questi, non c’è l’Italia), è il mercato domestico che rappresenta da sempre un fattore cruciale per il settore. Vuol dire occupati, indotto, Pil, ricavi e benefici per lavoratori e famiglie, non certo solo per le aziende. L’industria AD&S è strategica, dunque, nei principali stati europei, perché rappresenta un pilastro con cui lo Stato da un lato persegue la propria missione di difesa e sicurezza del territorio, dei cittadini, delle sue infrastrutture e, dall’altro, sostiene occupazione, per lo più qualificata e ad alto tasso di innovazione tecnologica, a beneficio della competitività del Paese. Il contributo del settore AD&S in Italia è presto detto: le imprese del settore hanno sviluppato, in Italia, circa 16 mld di euro di fatturato (dati 2019) e impiegano 50 mila addetti. Il settore mostra una presenza diffusa in tutto il territorio nazionale, con prevalenza del Nordovest (44% degli occupati) e del Mezzogiorno (28%, pari a 14 mila addetti). Dal 2016 in poi, dopo una fase di razionalizzazione di investimenti e occupazione, le imprese del settore sono state caratterizzate da un ritorno sostenuto alla crescita dei ricavi (+15% nel 2016-2019 contro il 7% del settore manifatturiero) accompagnato, appunto, da un forte incremento dell’occupazione diretta e da una ripresa degli investimenti, ma mantenendo una elevata produttività del lavoro (+50% rispetto al settore manifatturiero). Complessivamente, nel 2019, il settore AD&S ha contribuito a generare 15 mld di euro di valore aggiunto nell’economia italiana, lo 0,9% del Pil: un contributo che si compone di una parte sostenuta direttamente dalle attività delle imprese (5,1 mld di euro) e di un’altra (indiretta e indotta) che si attiva tramite gli acquisti nella filiera e i consumi dei dipendenti. Ogni euro di valore aggiunto creato dalle imprese AD&S genera in media 2.0 di euro addizionali nell’economia per un moltiplicatore totale pari a tre grazie alla capacità di generare valore aggiunto, direttamente e indirettamente, nel sistema di aziende connesse all’AD&S.

L’occupazione sostenuta dalle attività delle imprese AD&S è pari a circa 200 mila unità in totale: vuol dire che 10 occupati nel settore sostengono in media altri 30 occupati addizionali nell’economia per un moltiplicatore pari a 4. Inoltre, particolare non di poco conto, le attività del comparto sostengono il gettito fiscale italiano per oltre 5 miliardi di euro. Il settore rappresenta, in termini di valore aggiunto, il 23% dell’intera industria ad alta intensità tecnologica italiana con punte anche più elevate in alcune regioni del Sud: supporta, infatti, oltre il 40% di tutta l’industria high-tech dell’area, il 60% in Campania e Puglia. 

La punta di diamante: la Ricerca&Sviluppo 

Infine, punta di diamante, la ricerca e sviluppo. Il settore è, nel comparto manifatturiero, quello con la più alta intensità di R&S: investe 10 euro in R&S per ogni 100 euro di fatturato contro una media di un euro nel settore manifatturiero. Gli oltre 1,5 mld investiti in R&S rappresentano, dunque, quasi il 10% di tutta la spesa effettuata in Italia nel 2019. Solo gli occupati in R&S sono circa 7 mila, il 14% del totale, un’incidenza tra le più alte nei settori italiani: fa meglio solo l’elettronica di consumo con il 16% mentre la media della manifattura italiana è appena del 5%. In sostanza, la filiera dell’Ad&S italiana si posiziona tra i top player mondiali per i livelli di innovazione (attività brevetti di domini hig-tech). Tra queste eccellenze, senza poterle citare tutte, spicca Leonardo: ricavi per 9.5 mld (dati 2021), 31 mila addetti, 75% di esportazioni (l’1,4% di tutte le esportazioni di beni), produttività del lavoro (104k) a più del 50%, più elevata della media italiana (68k), 1,1 in spesa di investimenti in R&S (il 7% della spesa business in Italia). In totale, Leonardo genera 10 mld, lo 0,6% del Pil, sostiene lo 0,4% dell’occupazione nazionale, 1,4% dell’industria italiana per valore aggiunte, 13% dell’industria high-tech (il 23% solo al Sud). 

L’Aiad chiede a tutti di invertire la narrazione

Dati impressionanti e che fanno ben contenti i sindacati, ovviamente, i quali hanno curiosamente taciuto, assai imbarazzati, di fronte all’intemerata di Rovelli al concertone perché l’industria AD&S (ripetiamo: 17 mld di fatturato, 210 mila occupati, +1% di Pil, 2/3 del fatturato nell’export, quasi il 2% dell’export nazionale, investimenti in R&S per 1,25 mld, secondo settore per investimenti, questi i dati forniti dall’Aiad e aggiornati al 2021) anche, purtroppo, a causa della guerra in Ucraina, è un volano incredibile di sviluppo, opportunità, crescita economica, export, innovazione, ricerca. Certo, le industrie del settore si rendono conto, da sole, della “cappa di negatività” come ha detto il presidente dell’Aiad, Cossiga, in una recente audizione presso le commissioni Difesa di Camera e Senato riunite, chiedendo l’opportunità di presentare, nelle università e nei centri di ricerca civile, nella società civile e presso l’opinione pubblica, i risultati cui arriva in silenzio, quando va bene, e circondata dal discredito, come nel caso di Rovelli, se va male. Si potrebbe anche dire che ‘non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire’ e che se, per Rovelli e quelli come lui, chi produce Pil, ricchezza, innovazione, tecnologia, posti di lavoro, gettito fiscale, è ‘sporco’ e ‘puzza’ c’è poco da fare. Eppure, la realtà è quella qui ora testimoniata. 

Crosetto, la guerra in Ucraina e… Churchill…

Per quanto riguarda Crosetto, che non ha certo bisogno della nostra ‘Difesa’, perché si difende benissimo da solo, non fosse che per la mole, il ministro della Difesa non è e non può essere un ‘pacifista’ idealistico e neppure un’anima bella. La Difesa – del territorio nazionale, degli interessi dell’Italia in Europa e nel mondo, ma anche nell’ambito della partecipazione del nostro Paese agli organismi internazionali di cui facciamo parte (Onu, Nato, Ue) nel rigoroso rispetto e applicazione della nostra Costituzione – prevede, ovviamente, come sanno i bambini, assetti di truppe, equipaggiamenti, mezzi militari. 

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, che il governo Meloni, in perfetta linea con il governo Draghi (allora sostenuto anche da Pd e M5s), dopo ben cinque invii di equipaggiamenti militari, oltre che civili, ha varato il sesto decreto di invio che comprende anche le batterie di missili Samp/T di produzione italo-francese e di difesa. Contemporaneamente, però, il governo e anche Crosetto hanno intrapreso silenziosi ma fattivi colloqui con tutti i Paesi terzi che si sono fatti avanti (Brasile, India, Cina) per intavolare veri negoziati di pace. Negoziati però che non possono che partire da tre punti: cessazione delle ostilità, riconoscimento dei confini dell’Ucraina prima dell’aggressione russa e della sua integrità territoriale, riconoscimento dei danni di guerra. Perché se la Russia cessa di combattere non c’è più la guerra, ma se l’Ucraina smette di combattere non c’è più l’Ucraina. O si capisce questo, e le sue possibili conseguenze (sconfitta dell’Ucraina, minaccia russa alla Nato sempre più vicina, tensione internazionale che sale alle stelle, rischio di guerra nucleare vicino), oppure ogni tentativo di approccio serio alla questione è vano. 

Come disse Winston Churchill alla conferenza di Monaco (1938), quando Chamberlain cedette alle pretese di Hitler sui Sudeti, pensando così di evitare la guerra mondiale che poi puntualmente è scoppiata, “potevate scegliere tra il disonore e la guerra. Avete scelto il disonore e avrete la guerra”. L’Ucraina non può arrendersi con disonore, l’Italia non può che sostenerla e provare convincere la Russia – un’autocrazia che non ha problemi a far morire i suoi soldati a migliaia e a causare inenarrabili sofferenze ai civili inermi – a imboccare la via di una pace vera, giusta, onesta. Come dice il Vangelo, ‘dai frutti li riconoscerete’. 

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