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Astensione referendaria prodromo anche di altre stanchezze?
Di Daniele Capezzone
Non c’è dubbio, almeno a mio modo di vedere. Tra due settimane i referendum targati Landini-Schlein saranno salutati da un’ondata astensionistica abbastanza notevole.
E sarà giusto così: quesiti astrusi o totalmente sballati, linea politica massimalista, la sensazione di un congresso allargato del Pd svolto per via referendaria, per regolare vecchi conti con la minoranza “riformista” interna al partito.
Non sorprende né stupisce il fatto che, davanti a un’operazione del genere, la maggioranza degli elettori si senta estranea alla contesa, avvertendola come una specie di confuso rumore di fondo.
Attenzione, però. La sensazione del rumore di fondo comincia ad esserci anche per molti altri dibattiti politici, ben al di là di questi referendum. Discussioni che trasmettono l’idea di un confronto tutto interno al ceto politico, con scarsi o nulli effetti per i cittadini. “Cosa cambia per me?” o addirittura “Stanno parlando di me o di se stessi?” sono le domande che i telespettatori si pongono sempre più spesso.
Il che – si badi – non è affatto in contraddizione con indici di fiducia notevolmente alti per il governo, fenomeno tutt’altro che scontato a metà legislatura. Come si compongono questi due diversi sentimenti? Una spiegazione possibile – per molti cittadini – è forse questa: ho complessivamente fiducia e ancora speranza nel governo, riconosco alcuni positivi sforzi, su certe materie mi piacerebbe vedere di più, ma al tempo stesso sono stanco di discussioni, sono annoiato dal “dire”. Mi interessa il “fare”, anzi il “fatto”.
