Lavoro
Il capitale reputazionale: il valore economico della percezione
Di Andrea Barchiesi
(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
La reputazione è come la gravità. Invisibile, ma onnipresente. Nessuno la vede, ma tutti ne sentono il peso e lo sperimentano nella società. Basta un passo falso e la caduta è immediata. L’effetto è tanto più devastante quanto più alta è la posizione da cui si cade. Eppure, nonostante questa evidenza empirica, la reputazione è spesso percepita come qualcosa di etereo, difficilmente afferrabile. E proprio questo paradosso ha alimentato per anni un errore concettuale di fondo: quello di considerarla una variabile non misurabile, e dunque non gestibile.
Da oltre venti anni lavoriamo nella direzione opposta: materializzare la reputazione. E quindi misurarla scientificamente. Abbiamo definito una nuova disciplina: l’“Ingegneria Reputazionale”. In questa visione la reputazione può essere definita matematicamente come funzione di una serie di variabili misurabili: il fine o la tipologia di relazione per cui si sviluppa una determinata percezione, il gruppo e il sistema culturale di riferimento, la lingua e l’orizzonte temporale. Infatti, una stessa entità o fenomeno possono essere percepiti diversamente a seconda del fine di chi giudica (es. interesse personale o professionale), del gruppo di appartenenza (es: investitori o consumatori) del contesto culturale (es. Paese Occidentale o Paese Orientale), della lingua o del tempo in cui avviene. Il digitale ha cambiato tutto: ognuno contenuto rimane per sempre e produce un impatto.
Tutto ha una reputazione: persone, oggetti, brand, prodotti, città, fenomeni. Ed è questa che guida tutte le nostre scelte, ogni prodotto che compriamo, ogni servizio che scegliamo. La reputazione è l’asset fondamentale, di conseguenza è un patrimonio. Ogni contenuto pubblicato aggiunge o sottrae valore, se negativo, e tutto quello che esiste costituisce il capitale reputazionale. Un caso che ha fatto scuola è il Pandoro Gate di Chiara Ferragni, simbolo dell’economia dell’influenza e che, a cascata, ha colpito, in misura e modi diversi, vari soggetti, dai brand, alle piattaforme social, agli altri influencer, fino alle istituzioni e agli enti regolatori. La sua reputazione – costruita negli anni con una narrativa patinata, familiare, costantemente sotto i riflettori – ha subito un crollo repentino a causa della dissonanza tra il messaggio etico dichiarato e il comportamento commerciale percepito. Un contenuto pubblicitario apparentemente banale ha innescato una crisi di fiducia sistemica. La sua società, Fenice srl, nel 2024 ha registrato perdite per oltre 10 milioni di euro.
Un singolo errore comunicativo ha generato un effetto domino reputazionale, economico e sociale. Una vera frattura nella narrazione, che ha ridefinito i confini tra immagine e credibilità. Questo scenario richiede un cambio di paradigma. Non basta più costruire una buona immagine: occorre un sistema di monitoraggio e diagnostica reputazionale predittiva, che intercetti i segnali prima che la crisi deflagri. La comunicazione deve diventare ingegneristica, legando contenuto, contesto e algoritmo. Fondamentale agire attraverso il diritto all’oblio sui contenuti lesivi non più attuali che ledono l’immagine. Esiste anche il caso di figure apicali con un patrimonio reputazionale inespresso: un capitale che dovrebbe essere valorizzato con gli strumenti digitali disponibili.
Avere una buona reputazione è un vantaggio competitivo. Un vantaggio che può trasferirsi tra soggetti correlati, dal manager all’azienda. Emblematico il recente caso di Luca de Meo, che dimostra quanto sia decisiva la figura e la reputazione del CEO: è bastato l’annuncio del suo passaggio da Renault a Kering per far volare il colosso del lusso in borsa dell’11,8%. Il vantaggio dato da un’ottima reputazione però non è eterno, va rinnovato quotidianamente. La sfida consiste nel costruire un ecosistema di contenuti coerenti e strategici, e nel dotarsi degli strumenti per misurarli, analizzarli e correggerli in tempo reale. Oggi la reputazione è un’equazione di percezione, contenuto, valore e posizionamento. Chi sa risolverla, vince.
*Andrea Barchiesi è Fondatore e CEO di Reputation Manager





