Lavoro

Giovani e lavoro: non è questione di voglia, ma di condizioni

13
Giugno 2025
Di Marta Calderini

In psicologia cognitiva si parla di illusione di verità per descrivere quel meccanismo secondo cui, a forza di ripetere una frase, finiamo per crederci. È ciò che accade con l’affermazione – sempre più ricorrente – “i giovani non hanno voglia di lavorare”. Un mantra che rimbalza tra talk show, bar e social. Ma i dati raccontano tutt’altra storia.

Secondo il XXVII Rapporto AlmaLaurea sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati, presentato il 10 giugno 2025 all’Università degli Studi di Brescia, i giovani italiani vogliono lavorare eccome. Semplicemente, non accettano più qualsiasi impiego, a qualsiasi condizione.

Nel nostro Paese, infatti, cresce il fenomeno del “mismatch”: il disallineamento tra la formazione universitaria e le richieste del mercato del lavoro. Un divario che ha radici complesse: dalla qualità della domanda di lavoro alle disparità di genere, dall’origine sociale alle scelte individuali dei laureati. Il risultato? A un anno dalla laurea, oltre il 30% dei giovani occupati svolge un lavoro per cui il titolo di studio non è richiesto e in cui le competenze acquisite vengono scarsamente utilizzate. La percentuale sale al 39,3% tra i laureati triennali.

Ma il problema non è solo qualitativo: anche la retribuzione pesa. Sempre più laureati rifiutano offerte a basso reddito e oltre il 30% giudica il proprio stipendio “poco o per niente adeguato” già a due anni dalla laurea. Il paradosso è tutto italiano: tra i percorsi accademici più lunghi d’Europa, tra i tassi di laureati più bassi (solo la Romania fa peggio), e un mercato del lavoro che non sa valorizzarli.

E quindi? se ne vanno. Oltre un laureato su tre decide di trasferirsi all’estero, spesso per motivi legati alle scarse opportunità professionali in patria. Partono soprattutto i profili più richiesti a livello globale: informatici, ingegneri, esperti ICT, ma anche laureati in comunicazione e discipline politico-sociali. E non è solo una questione di coerenza con le proprie competenze, ma anche economica: all’estero questi giovani a 5 anni dalla laurea guadagnano, in media, circa 2.900 euro al mese, oltre il 60% in più rispetto a chi resta in Italia.

A preoccupare non è solo la partenza, ma anche il mancato ritorno. Quasi il 40% dei giovani italiani all’estero dichiara di non voler tornare. E il saldo migratorio è desolante: secondo Istat, per ogni studente straniero che sceglie l’Italia, nove italiani se ne vanno.

Il risultato? Un sistema formativo che forma, ma non trattiene. Un mercato del lavoro che chiede flessibilità, ma offre precarietà. E una narrazione che colpevolizza chi parte, senza interrogarsi davvero su perché lo faccia.