Innovazione

Transizione 5.0, doppio stop agli incentivi: le imprese chiedono stabilità dopo l’ennesimo cambio di rotta

21
Novembre 2025
Di Jacopo Bernardini

(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
Nel giro di pochi giorni si sono fermati due importanti motori della politica industriale italiana. Dopo lo stop improvviso ai fondi di Transizione 5.0, anche le risorse per la “vecchia” Transizione 4.0 sono state esaurite. A certificarlo è stato il Gestore dei Servizi Energetici (Gse), la società pubblica che gestisce la piattaforma per le richieste e monitora in tempo reale le prenotazioni: il suo “contatore” digitale, aggiornato ieri, segna quota zero.

Il doppio blocco arriva in un momento delicato per l’industria, che contava su questi strumenti per pianificare la transizione digitale ed energetica. Il piano Transizione 4.0, nato come evoluzione del vecchio Industria 4.0, premiava con crediti d’imposta gli investimenti in soluzioni materiali e immateriali per la digitalizzazione. Il successivo Transizione 5.0, finanziato con fondi del Pnrr, ne rappresentava l’evoluzione “verde”, legando l’incentivo anche al risparmio energetico e alla sostenibilità.
Il 7 novembre il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha annunciato che anche i 2,5 miliardi di euro assegnati al piano risultano interamente prenotati. Degli oltre 6 miliardi iniziali, una parte è stata dirottata su altri capitoli del Pnrr, mentre la Legge di Bilancio 2026, che in questi giorni ha iniziato l’iter di approvazione in Senato, ha stanziato 4 miliardi per una nuova versione del programma, operativa dal prossimo anno.

La nuova edizione non si baserà più sui crediti d’imposta ma sul superammortamento, che consente di dedurre fiscalmente un valore più alto dei beni acquistati, spalmando il vantaggio su più anni. È una misura meno immediata ma più stabile nel tempo, pensata per dare continuità agli investimenti, che però rischia di non essere accessibile a tutte le imprese. Si tratta infatti di un’agevolazione che premia le aziende con utili e redditività elevata, poiché la deduzione agisce sull’imponibile fiscale.
In questo scenario, l’esaurimento delle risorse allocate per Transizione 4.0 e 5.0 ha colto di sorpresa molte imprese, che ora si trovano sospese. «È un segnale preoccupante per il nostro tessuto produttivo», ha detto Bruno Bettelli, presidente di Federmacchine, che parla di “frattura di fiducia” e chiede «stabilità delle regole e certezza dei tempi».

Un allarme condiviso da Confimi Industria, la confederazione che rappresenta soprattutto piccole e medie imprese manifatturiere, secondo cui «il blocco ha creato nervosismo e incertezza» e serve «una soluzione rapida per garantire la copertura delle domande già presentate». Assolombarda, con il presidente Alessandro Biffi, denuncia invece «incoerenza e incertezza»: «In sei mesi sono stati investiti 1,8 miliardi grazie alle semplificazioni introdotte, ma l’improvvisa chiusura lascia le aziende nel guado».
Anche Federacciai, con Antonio Gozzi, non risparmia critiche: «Una misura nata male e proseguita peggio. Molte imprese hanno compilato montagne di documenti e oggi non sanno se potranno ottenere i fondi».

Sul fronte politico, il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, chiede una svolta: «Se non si trova una soluzione, crolla la fiducia tra imprese e istituzioni. Non si può costruire una politica industriale a colpi di stop and go». Orsini rilancia l’esigenza di un piano industriale pluriennale, mentre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti apre alla possibilità di rendere stabile nel tempo il superammortamento oggi limitato al 2026, per dare «un segnale di fiducia agli imprenditori».
Nel frattempo, il Mimit ha confermato che la piattaforma del Gse resterà attiva fino al 31 dicembre, e che i progetti ritenuti ammissibili verranno inseriti in una lista d’attesa per essere finanziati se emergeranno nuove risorse. Il 18 novembre si aprirà al Ministero un tavolo di confronto con le associazioni di categoria.

Un confronto che riguarda molto più del solo mondo produttivo. Il tessuto industriale italiano è anche infrastruttura sociale: genera occupazione, competenze, servizi, e si intreccia con la vita dei territori. La digitalizzazione e l’innovazione che le imprese stanno inseguendo sono le stesse sfide che attendono enti locali e amministrazioni, chiamati a modernizzare procedure e servizi ai cittadini. È su questo terreno comune – quello di un Paese che punta a rendere più efficiente la propria macchina economica e amministrativa – che si misura oggi la reale portata della transizione.