Innovazione

Intelligenza Artificiale: non sarà un’avventura. Ma per ora i conti languono

17
Agosto 2025
Di Giampiero Cinelli

Secondo le analisi di Semrush sul traffico web globale, ChatGPT è ormai il quinto sito più visitato al mondo, con oltre 5 miliardi di accessi soltanto nel mese di maggio. Definire con precisione il numero di utenti attivi mensili non è semplice; ci si deve affidare alle parole del CEO di OpenAI, Sam Altman, che ad aprile ha parlato di circa 800 milioni di utilizzatori. Se la stima fosse corretta, significherebbe che circa un decimo della popolazione mondiale si serve del chatbot. In realtà, il pubblico disposto a pagare è molto più ristretto: il COO Brad Lightcap ha dichiarato che gli abbonati a ChatGPT Plus sono circa 11 milioni, ovvero appena l’1,3% della base utenti. A questi vanno aggiunti i 3 milioni di clienti business che utilizzano i piani team ed enterprise. Eppure, anche contando queste sottoscrizioni, si tratta di numeri marginali rispetto al totale, pur generando il 75% dei ricavi di OpenAI. Paradossalmente, proprio sugli abbonamenti più onerosi — i Pro da 200 dollari mensili — l’azienda continua a registrare perdite, poiché i costi operativi superano gli introiti, come ammesso dallo stesso Altman. La sproporzione tra utenti paganti e costi colossali spiega perché il modello economico del servizio di IA più diffuso al mondo stenti a reggere nei conti.

Nel 2024 OpenAI ha fatturato 3,7 miliardi di dollari, ma ha registrato perdite nette per 5 miliardi. Secondo le stime interne, la società non diventerà profittevole prima del 2029, lasciando quindi agli investitori almeno altri quattro anni di attesa. E non è realistico pensare che i costi possano ridursi drasticamente a breve termine, dato che i sistemi richiedono enormi quantità di energia e potenza di calcolo.

Il solo addestramento dei modelli è costato 3 miliardi di dollari, cifra che supera l’intero fatturato da abbonamenti. A ciò si aggiungono 2 miliardi per mantenere in funzione i modelli stessi, a cui vanno sommati 700 milioni di stipendi. In pratica, l’esercizio di ChatGPT comporta spese superiori agli introiti di oltre un miliardo di dollari. Nonostante ciò, OpenAI continua ad attrarre finanziamenti significativi: dal 2015 a oggi ha raccolto 20 miliardi di dollari. Tra i progetti più ambiziosi c’è Stargate, una joint venture presentata a gennaio alla Casa Bianca da Donald Trump, Sam Altman, Masayoshi Son (Softbank) e Larry Ellison (Oracle). OpenAI ne possiede il 40%, insieme a partner come Microsoft e il fondo MGX degli Emirati Arabi. Il costo stimato supera i 500 miliardi nei prossimi quattro anni, tanto da essere definito un “nuovo Progetto Manhattan”.

Nella storia del venture capital non mancano esempi di startup che hanno bruciato ingenti capitali per anni prima di diventare leader globali: Amazon, ad esempio, perse 2,8 miliardi nei primi 17 trimestri da quotata. Tuttavia, il fenomeno delle perdite sembra essere endemico all’intero comparto dell’IA generativa, minandone la sostenibilità. La startup Perplexity, valutata circa 18 miliardi, ha generato solo 34 milioni di ricavi a fronte di 57 milioni di spese. Anche la più grande Anthropic, con una valutazione di oltre 61 miliardi, non è in attivo: ha ricavi per 918 milioni ma perdite per 5,6 miliardi, tanto che il CEO ha annunciato l’intenzione di dimezzare i costi nel 2025. La stessa dinamica riguarda anche Cohere e Mistral, anch’esse non redditizie.

Tutti questi segnali alimentano i timori di una bolla speculativa. Lo stesso Financial Times ha titolato senza mezzi termini: “i ritorni dell’AI ancora non ne giustificano gli investimenti”. Tuttavia, una dinamica analoga si osservò nel caso della bolla Dotcom degli anni ’90, che riguardava le aziende legate a internet e al digitale. Nonostante evidenti perdite generalizzate, il settore continuò il suo cammino consolidandosi successivamente e comunque preservando i migliori semi che erano germogliati nonostante la tempesta.

Già nel 2024, Goldman Sachs aveva avvertito che il trilione di dollari investito collettivamente nelle IA generative rischiava di non tradursi mai in profitti. Nello stesso periodo, un partner di Sequoia Capital stimava che le aziende avrebbero dovuto generare 600 miliardi di dollari aggiuntivi solo nel 2024 per giustificare gli investimenti: sei volte oltre quanto effettivamente raccolto.

Un anno dopo, la situazione non è cambiata. Le big tech continuano ad aumentare i capital expenditure: +95 miliardi nel 2024 e altri 75 miliardi previsti nel 2025. I ricavi però crescono molto più lentamente, nell’ordine di decine di miliardi, non di centinaia. Il caso di Microsoft è emblematico: nel 2025 ha dichiarato un incremento del 175% nei ricavi annualizzati dall’AI, portandoli a 13 miliardi di dollari. Ma la cifra rappresenta soltanto il 5% del fatturato totale atteso per l’anno. Parallelamente, Bank of America Securities prevede che la spesa globale per data center salirà da 333 miliardi nel 2023 a 1 trilione nel 2030, con l’83% di tale somma destinata all’AI. Un dato che dimostra come i costi strutturali dell’intelligenza artificiale rimarranno mastodontici e come l’ampio divario tra spese e ricavi non sia destinato a colmarsi nel breve periodo.