Innovazione
Il paradosso dell’IA: tutti la usano, ma pochi la sfruttano davvero
Di Ilaria Donatio
L’intelligenza artificiale è ovunque, ma la maggior parte di chi la utilizza non ne sfrutta davvero il potenziale. È quanto emerge da uno studio dell’Osservatorio Platform Thinking HUB del Politecnico di Milano, che ha analizzato l’uso dell’IA tra 419 professionisti italiani di 162 imprese.
Il dato più sorprendente è la diffusione: 9 su 10 la utilizzano almeno una volta a settimana, e 6 su 10 più volte al giorno. Tuttavia, l’impiego resta quasi sempre superficiale: l’86% la usa per cercare informazioni e il 63% per riassumere testi o scrivere email.
«Abbiamo a disposizione una Ferrari, ma la usiamo per andare a prendere il caffè all’angolo», commenta Daniel Trabucchi, professore del Politecnico e co-direttore scientifico dell’osservatorio insieme a Tommaso Buganza.
Questo atteggiamento genera quello che i ricercatori definiscono Gen AI Paradox: una diffusione capillare della tecnologia accompagnata da un tasso di fallimento dei progetti pilota che supera il 95%. In altre parole, l’IA è presente in azienda, ma raramente produce trasformazioni reali.
Lo studio invita a cambiare prospettiva attraverso il platform thinking, un approccio che sfrutta le logiche delle piattaforme digitali – da Uber ad Airbnb – per creare ecosistemi interconnessi e generare innovazione. «L’IA generativa può abilitare queste logiche anche all’interno delle imprese, aiutando a rompere i silos organizzativi e favorendo la collaborazione tra funzioni diverse», spiega Buganza.
Un esempio citato dai ricercatori è quello di Fujitsu, che ha sviluppato una piattaforma interna capace di collegare i casi d’uso dei prodotti alle esigenze dei venditori. Un sistema partecipativo, dove i dipendenti sperimentano con agenti personalizzati e condividono conoscenze in tempo reale. Un modello “semplice” dal punto di vista tecnologico, osserva Trabucchi, ma radicalmente diverso rispetto all’uso individuale e isolato che domina oggi.
Il lavoro dell’osservatorio evidenzia anche un altro fenomeno crescente: lo shadow AI effect. Molti dipendenti, infatti, utilizzano strumenti di intelligenza artificiale personali invece di quelli aziendali. Secondo una ricerca del MIT citata nello studio, solo il 40% delle aziende dispone di abbonamenti professionali, mentre il 90% dei lavoratori usa in segreto i propri tool.
Il rischio è duplice: da un lato la perdita di controllo sui dati e sui flussi aziendali, dall’altro l’occasione mancata di trasformare l’IA da gadget individuale a risorsa strategica. Per superare il paradosso serve una cultura organizzativa che veda l’intelligenza artificiale non come sostituto, ma come nuovo membro del team, capace di ampliare competenze, connessioni e idee.





