Innovazione

Concorrenza digitale, i dubbi sul Digital Markets Act

23
Novembre 2021
Di Alessandro Caruso

Il Digital Markets Act è l’atto normativo che, insieme al Digital Service Act, rappresenta la risposta della Commissione europea al tema della concorrenza e trasparenza dei mercati digitali. Si tratta di un quadro normativo in via di definizione, che tuttavia ieri sera è stato approvato, con 42 voti a favore 2 contrari e un’astensione, dall’Internal Market and Consumer Protection Committee, e che ora a dicembre sarà discusso in sede plenaria, ma su cui tuttavia si sta sviluppando un acceso dibattito, che coinvolge le “major” e i player più piccoli. Uno degli ultimi incontri sul tema è stato quello promosso nel format Connessioni, organizzato dagli Utopia Studios, in collaborazione con la Fondazione Italia Digitale, trasmesso in streaming lo scorso 12 novembre. Un talk che ha riunito un panel di tecnici per discutere sui margini di miglioramento della normativa.

IL TALK
Al talk sono intervenuti Alessandra Tonazzi, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Antonio Manganelli, del Ministero dello sviluppo economico, Giuseppe Colangelo, docente dell’università della Basilicata, Gustavo Olivieri, docente Luiss, Salvatore Nava, di Lear, e il moderatore Francesco di Costanzo, di Fondazione Italia Digitale.

LA NORMATIVA
Il Digital Markets Act si pone come obiettivo principale quello di facilitare i processi concorrenziali nel mercato digitale, introducendo una serie di divieti e restrizioni ai danni dei cosiddetti Gatekeepers, cioè le grandi piattaforme, a vantaggio dei player più piccoli. Vengono stabiliti, tra le altre cose, divieti di discriminazione da parte delle grandi piattaforme in favore dei propri servizi, obblighi di garantire l’interoperabilità tra piattaforme concorrenti, e obblighi di condividere, nel rispetto delle norme sulla privacy, i dati che vengono forniti o generati attraverso le interazioni degli utenti commerciali e dei loro clienti sulla piattaforma dei gatekeepers. E vengono anche previste sanzioni fino al 10% del fatturato per coloro che non si attengono alle nuove regole. Non solo, la violazione sistematica delle norme potrà portare all’applicazione di rimedi di natura straordinaria quali l’obbligo di cessione di parte degli asset o proprietà aziendali (il cosiddetto splitting).

Come dicevamo, il dibattito è acceso. E proprio su questo campo si sono confrontati gli ospiti del talk, evidenziando molte criticità.

POCA FLESSIBILITÀ
Innanzitutto è emerso come l’impianto della normativa sia troppo poco flessibile, perché imperniato su una lunga lista di obblighi molto dettagliati che, oltre a non tener conto dei differenti modelli di business delle piattaforme interessate, rispecchia indagini antitrust datate o in corso di applicazione, rischiando pregiudicare l’adattabilità all’evoluzione dinamica dei mercati digitali.

I GATEKEEPERS. LE AMBIGUITÀ
La stessa definizione dei gatekeepers appare poco chiara e non perfettamente in linea con la letteratura economica di riferimento: non risulta, infatti, esplicitato un chiaro legame al loro ruolo nell’ambito degli ecosistemi, con il conseguente rischio di designare come gatekeeper un numero elevato di imprese sebbene non tutte esercitino effettivamente un tale ruolo rispetto ai mercati di riferimento.

IL RUOLO DELLE AGENZIE ANTITRUST
Altra criticità è quella relativa all’enforcement centralizzato, che stride con la chiara matrice antitrust delle previsioni introdotte, prevedendo tuttavia un ruolo limitato per le autorità nazionali, le quali invece, anche per mere ragioni di prossimità, sono spesso meglio posizionate per rilevare e analizzare condotte anticompetitive. Non sono mancate perplessità, infine, sui profili trascurati dalla proposta di DMA: in particolare, l’assenza di previsioni relative sia alla collusione algoritmica sia ad un più efficace controllo delle concentrazioni, specialmente quelle relative a nuove imprese innovative (i cosiddetti killer acquisitions). 
 

L’ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA
Ulteriori dubbi riguardano la previsione contenuta nella legge italiana sulla concorrenza per quanto concerne l’abuso di dipendenza economica: sebbene si tratti di una fattispecie non armonizzata a livello europeo, l’abuso di dipendenza economica è presente in numerosi paesi membri. Nel nostro ordinamento, le applicazioni da parte dell’Autorità Garante (AGCM) sono state decisamente rare e di fatto concentrate negli ultimi due anni. In questo scenario, il rinnovato interesse per lo strumento della dipendenza economica si deve all’apparente esigenza di individuare nuovi rimedi per contrastare gli abusi di potere nei mercati digitali. A differenza di tutte le altre esperienze europee, la proposta contenuta nella legge annuale sulla concorrenza prevede tuttavia una presunzione dello stato della dipendenza economica, imponendo così alle piattaforme di dimostrare la sua insussistenza. Tale presunzione, nel rendere decisamente più agevole l’enforcement da parte dell’Autorità, pone a carico dei soggetti destinatari un onere probatorio ingiustificato. La presunzione, infatti, trae origine dalla premessa errata secondo la quale ogni piattaforma digitale, per definizione e indipendentemente dal diverso modello di business, rappresenti un soggetto forte rispetto ai propri utenti business.

LA DEFINIZIONE DI PIATTAFORMA
Tali criticità sono ulteriormente accresciute dalla definizione molto ampia fornita dalla proposta con riferimento alla nozione di piattaforma digitale. Non si specificano in modo puntuale, infatti, i requisiti della posizione “determinante” che giustificherebbe la posizione di gatekeeper, includendo, di fatto, qualsiasi fornitore di servizi di intermediazione digitale.

Foto: pixabay free images, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons