Cultura

SPECIALE LEGGE DI BILANCIO #1. CULTURA. Patrimonio storico privato, un nuovo asset su cui si sta investendo

01
Dicembre 2021
Di Alessandro Caruso

Quando si parla dell’Italia come di un museo a cielo aperto non ci si riferisce soltanto alle testimonianze storiche e artistiche disseminate nelle città e nei borghi, ma anche all’immenso patrimonio culturale privato diffuso in tante aree sparse da nord a sud, dai centri urbani alle zone rurali. Un patrimonio grazie al quale il pubblico ha la possibilità di vedere e conoscere le tracce del passaggio della storia, e dei suoi protagonisti, in molti territori italiani. Un patrimonio, infine, che trae nel suo fascino e nelle sue radici la ragione stessa dell’indotto economico che ancora oggi riesce a generare. Parliamo di straordinari luoghi, castelli e case-museo, dove sono conservati ed esposti affreschi, arredi, opere d’arte e archivi di grande interesse culturale e proprio per questo mantenuti e valorizzati a beneficio della condivisione con la comunità.

I COSTI DI GESTIONE
Sono posti che riescono ancora oggi a raccontare il ruolo che hanno avuto nella storia grazie alla riqualificazione o rivitalizzazione che i loro proprietari sono riusciti a mettere a punto, e che riescono anche ad attrarre turismo di qualità, proprio in ragione della loro storia o della loro posizione in zone accattivanti dal punto di vista paesaggistico. Per questo la politica tende a considerare questo patrimonio storico privato un asset importante, che è utile sostenere come fosse parte integrante della rete museale nazionale. «Il contributo dei privati non deve essere considerato qualcosa di staccato – spiega al The Watcher Post la senatrice Maria Saponara, che da tempo si interessa del problema –  ma come qualcosa che completa il pubblico e che per questo è utile considerare parte strategica dell’intero settore».

Ed è quello che l’Associazione delle Dimore Storiche Italiane, che rappresenta la categoria, chiede con insistenza, anche considerato il rapporto costi-benefici. Se, infatti, da un lato molte di queste dimore sviluppano un indotto economico, visto che spesso sono operanti in filiere produttive, dalla ricezione turistica alla produzione vinicola fino all’organizzazione di eventi, dall’altro è anche vero che i singoli proprietari devono sopportare il fardello dei costi di gestione e manutenzione, decisamente molto elevati. Per averne una misura basti pensare che da un’indagine fatta da Vincoli in rete, il sistema del Mibac per la raccolta informazioni sui beni culturali, architettonici e archeologici, nel 2021 la spesa sostenuta per la manutenzione delle dimore storiche è stata di 1,3 miliardi di euro, di cui 0,43 per le spese ordinarie e 0,877 per quelle straordinarie. Questo è il motivo per cui chiedono soprattutto agevolazioni fiscali, tra estensione dei bonus facciate, rifinanziamento del Fondo per il restauro e riconoscimento della specialità del patrimonio culturale privato, con l’introduzione di un regime specifico per i beni vincolati.

LE PROPOSTE DELLA POLITICA
Sono posizioni che la politica sta dimostrando di volere ascoltare, in modo piuttosto trasversale. Anche perché le dimore storiche rappresentano un asset su cui convergono turismo e sostenibilità, oltre alla cultura. Come ci conferma l’onorevole Rosa Maria Di Giorgi: «La valorizzazione delle dimore storiche – spiega – attraverso percorsi turistici collegati con la riscoperta di territori meno conosciuti, accanto all’enogastronomia che questi esprimono, con le eccellenze artigianali del luogo e il rilancio di una certa qualità dell’esistenza, più attenta alla bellezza e ai tempi di vita, assume una notevole importanza anche nell’ottica della sostenibilità ambientale».

In ottica legge di bilancio, in Commissione Cultura di Camera e Senato si sta lavorando anche per questo segmento. Si va dalla proposta di estendere l’art bonus anche al settore privato, all’idea di legare il patrimonio storico privato alla scuola secondaria di secondo grado, ai percorsi universitari e agli ITS: «Dal momento che i crediti formativi e i tirocini stanno diventando sempre più importanti – anticipa la Saponara – le sedi di dimore storiche potrebbero diventare luoghi giusti per ospitare queste attività. È una proposta che potrebbe essere portata avanti. Ma è ovvio che questo implicherebbe una interlocuzione tra ministero della Cultura, dell’Istruzione e dell’Università per raggiungere una reale fattibilità». Anche se l’incisività maggiore potrebbe arrivare dal Pnrr: «La misura che prevede la valorizzazione dei borghi (6 miliardi di euro, ndr) avrà per forza di cose ricadute positive sul patrimonio storico privato – ha aggiunto Saponara – anche attraverso programmi di sostenibilità ambientale e digitalizzazione».  

L’onorevole Rosa Maria Di Giorgi, dall’altro ramo del Parlamento, non nega che la politica stia dimostrando di essere sensibile a questo tema. Ma si può fare di più: «In questo momento servono precisi emendamenti nella legge di bilancio per allargare l’art bonus e introdurre maggiori facilitazioni fiscali per coloro che si vogliono impegnare nello sviluppo del settore culturale. Questi sono temi su cui spesso si trova convergenza tra le forze politiche, ma occorre una più profonda convinzione a livello governativo».

Il tema della “big society” in ambito culturale è un nodo antico. Un ambito su cui le due sfere hanno sempre fatto fatica a trovare un giusto equilibrio. La misura dell’art bonus, introdotto nel 2014 dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, oltre agli effetti positivi generati, ha rappresentato di fatto un superamento concettuale della schermaglia tra l’approccio etico e quello profit alla gestione del bene culturale, dimostrando l’esistenza di una terza via, quella di una visione manageriale del patrimonio culturale, nell’interesse della sua valorizzazione, della sua conservazione e soprattutto della sua condivisione con la collettività. Questa è la direzione su cui si sta cercando di lavorare anche con riferimento al patrimonio storico privato. Le parole della Saponara, in tal senso, confermano l’orientamento: «Si possono fare ragionamenti provando a pensare al pubblico come e al privato come a un insieme che genera economia e che per questo necessita di essere sostenuto, è chiaro che ciò implica disponibilità da entrambe le parti». 

In foto: Castello di Torrimpietra (Lazio)