Food
Vini dealcolati, produzione ferma al palo: il fisco li riconoscerà solo dal 2026
Di Ilaria Donatio
C’è un mercato che cresce, una domanda che si espande e una filiera che resta bloccata. È quella dei vini dealcolati, prodotti sempre più richiesti soprattutto dalle giovani generazioni e nei mercati esteri, ma che in Italia restano in stand-by per un motivo tutto burocratico: la disciplina fiscale scatterà solo nel 2026.
Il decreto del dicembre scorso ha finalmente autorizzato la produzione nazionale dei cosiddetti “vini a bassa gradazione” (sotto lo 0,5% di alcol), ma l’assenza di un quadro fiscale adeguato ha congelato gli entusiasmi dei produttori. In pratica, fino a quando non entrerà in vigore la nuova normativa – prevista per gennaio 2026 – questi vini non sono riconosciuti a fini fiscali e doganali, rendendone impossibile la commercializzazione sul territorio italiano.
Nel frattempo, le aziende che vogliono intercettare questo segmento in crescita sono costrette a esternalizzare: l’alcol viene rimosso in stabilimenti all’estero, soprattutto in Germania e Spagna, dove le regole sono già definite e la filiera è strutturata. Un paradosso tutto italiano, in un Paese che sul vino ha costruito parte della propria reputazione agroalimentare.
«Siamo fermi mentre gli altri corrono», denunciano i produttori. La posta in gioco è alta: secondo le proiezioni, il mercato globale dei vini dealcolati potrebbe superare i 4 miliardi di dollari entro il 2032. Eppure, senza una norma operativa sul piano fiscale, l’Italia rischia di perdere il treno.
La filiera chiede al governo di anticipare l’entrata in vigore della nuova disciplina, o almeno di adottare misure transitorie che consentano ai produttori di partire. Perché oggi, chi vuole innovare, è costretto a guardare oltreconfine.
