Food
Pomodoro, l’import dalla Cina è crollato nel 2025
Di Lorenzo Berna
Il 2025 segna una frattura netta per l’industria cinese del pomodoro. Le esportazioni di concentrato verso l’Italia, tradizionalmente uno dei mercati chiave per Pechino, si sono ridotte del 76 per cento nei primi nove mesi dell’anno. Il Financial Times definisce il crollo «senza precedenti» e sottolinea come nelle fabbriche cinesi si stia accumulando una massa ingente di prodotto invenduto, destinata a riverberarsi per mesi sugli equilibri dell’intera filiera agroalimentare globale.
Il rallentamento non sarebbe un fulmine a ciel sereno, ma l’esito di una pressione crescente sull’origine e sulla trasparenza delle materie prime importate. In Italia, le campagne informative contro le etichette giudicate fuorvianti da alcune imprese e la mobilitazione di Coldiretti hanno alimentato sospetti e prudenza verso il concentrato cinese. A queste tensioni interne si aggiunge la questione internazionale dello Xinjiang, la regione dove si concentra la produzione e che da anni è al centro di accuse di sfruttamento e lavoro forzato. L’insieme di questi fattori ha progressivamente eroso la fiducia commerciale.
Lo Xinjiang è anche la fotografia più evidente della crisi. Nel 2024 aveva raggiunto gli 11 milioni di tonnellate di pomodori trasformati, più del doppio rispetto al 2021, imponendosi come uno dei poli più competitivi al mondo. Ma il suo ruolo si è ribaltato in pochi mesi. Gli Stati Uniti hanno fermato l’importazione di concentrato proveniente dalla regione e l’Europa ha intensificato i controlli, irrigidendo i criteri di tracciabilità e rendendo più complesso l’accesso ai mercati occidentali. La crescita impetuosa è così diventata una vulnerabilità strutturale: un colosso industriale che, al momento, non trova sbocchi.
Le conseguenze logistiche ed economiche sono imponenti. Si stima che nelle fabbriche cinesi siano accantonate tra 600.000 e 700.000 tonnellate di concentrato, l’equivalente di sei mesi di esportazioni ferme. Una quantità tale da mettere sotto pressione le capacità di stoccaggio e da aprire interrogativi sui prossimi movimenti di Pechino. Se la Cina decidesse di reimmettere parte delle scorte a prezzi ribassati, l’onda d’urto potrebbe investire i listini globali e spingere l’intero comparto in un nuovo ciclo di volatilità.





