Fill the gap

Più istruite ma meno pagate: il divario di genere che l’8 marzo non cancella

07
Marzo 2025
Di Elisa Tortorolo

L’8 marzo non è solo una giornata di festa, ma anche un’occasione per fare il punto sulle disuguaglianze di genere che ancora persistono nel mondo del lavoro. Il recente rapporto INPS “Rendiconto di Genere 2024” dipinge un quadro chiaro e preoccupante: in Italia, le donne guadagnano in media il 20% in meno degli uomini, con un divario salariale diffuso in quasi tutti i settori.

I dati sono inequivocabili: nel 2023, il tasso di occupazione femminile si è fermato al 52,5%, ben 18 punti percentuali sotto quello maschile (70,4%). Un divario che si riflette anche nella tipologia contrattuale: il 64,4% delle donne occupate ha un impiego part-time, rispetto al 35,6% degli uomini. E spesso non si tratta di una scelta, bensì di una necessità: oltre il 15% delle donne lavora part-time involontario, tre volte più degli uomini.

Anche quando le donne lavorano a tempo pieno, comunque, la retribuzione resta inferiore. Nel settore immobiliare, per esempio, una donna guadagna in media meno di 78 euro al giorno, contro i quasi 130 euro di un uomo. Il gap salariale è presente in quasi tutti i settori, con un’unica eccezione: le miniere, dove la (poca) presenza femminile riesce a strappare una lieve superiorità salariale (176 euro contro 174 maschili).

Il paradosso si amplifica considerando il livello di istruzione: le donne italiane sono più istruite degli uomini, con una maggiore percentuale di diplomate e laureate. Eppure, questa preparazione non si traduce in una presenza adeguata nelle posizioni di vertice: dirigenti e quadri restano in larga maggioranza uomini. Il divario salariale, dunque, non è solo una questione di istruzione, ma di accesso alle opportunità e di barriere strutturali.

Le disuguaglianze lavorative si ripercuotono anche in età avanzata. Le donne sono la maggioranza tra i pensionati (7,9 milioni contro 7,3 milioni di uomini), ma ricevono assegni sensibilmente più bassi: -25,5% sulle pensioni di anzianità, -32% su quelle di invalidità, e fino a un preoccupante -44,1% sulle pensioni di vecchiaia.

La radice del problema è strutturale. La lista delle cause è lunga, e anche molto nota. Tra i fattori principali ritroviamo la scarsa disponibilità di asili nido, i congedi parentali sbilanciati, la disparità nell’accesso a istruzione e formazione – con la presenza femminile nei settori scientifici e tecnologici che, sebbene stia aumentando, rimane ancora marginale. 

Oltre a fiori e celebrazioni, la Giornata Internazionale della Donna dovrebbe essere un momento di riflessione e azione. Per ridurre il divario di genere occorrono misure concrete: promuovere politiche di conciliazione tra vita lavorativa e familiare, incentivare la presenza femminile nei ruoli dirigenziali e garantire una retribuzione equa sono solo i primi, timidi ma fondamentali passi. Per una società più inclusiva, dove il merito e la competenza valgano più del genere di appartenenza.