Fill the gap

Non chiamatemi “mammo”, faccio il papà

19
Marzo 2024
Di Gaia De Scalzi

Quando lo scorso anno il deputato statunitense Jimmy Gomez si presentò a Capitol Hill con il figlio di 4 mesi nel marsupio, il Washington Post parlò di “svolta epocale” ma per Daniele Marchese, 39 anni di Genova, occuparsi dei suoi 3 bambini 24 ore su 24 rappresenta “la normalità”. E lo racconta con un video su Instagram, assieme al piccolo Filippo (13 mesi) anche lui dentro il marsupio.

Questo papà è il creatore – assieme alla moglie Sara – del profilo @Famiglia.di.matti che nelle ultime settimane è cresciuto a dismisura, come ci spiega: “Prima eravamo una piccola famigliola, con la nostra piccola nicchia. Ora stiamo spopolando e quel video non l’ho neppure sponsorizzato. In pochi giorni siamo quasi arrivati a 450 mila visualizzazioni”.

A fare clamore è stata la scelta di Marchese, ossia quella restare a casa con i suoi 3 figli perché a sua moglie è arrivata “la classica offerta lavorativa che non si può rifiutare”. Sara, infatti, ha vinto un concorso pubblico e il suo nuovo incarico mal si sposa con la gestione famigliare. 

«La scelta più logica era quella di abbandonare temporaneamente il mio impiego per dedicarmi ai bambini. D’altro canto in casa ci siamo sempre divisi equamente i compiti. Mia moglie si fida e a me stare con i bimbi non pesa affatto.»

Quando Sara esce di casa all’alba, Marchese prepara la colazione e alle 7 sveglia tutti, li lava, li veste e accompagna i più grandi a scuola. Poi la sua giornata prosegue con le varie incombenze domestiche, come la spesa e le pulizie, sempre in compagnia del piccolo Filippo.  

Qual è la cosa che più ti pesa?
«Essere chiamato “mammo”. Voglio essere chiamato papà, perché è ciò che sono. La parola “mammo” è denigratoria. Implica che l’accudimento di casa e figli debba ricadere solo sulle donne. Mentre quando a occuparsene è un uomo si parla di “supporto”. Non è così. Nella casa ci vivo pure io quindi è giusto che a pulirla sia anche io. Una donna non deve sentirsi dire che è fortuna ad avere accanto un marito che la aiuta, questo dovrebbe essere scontato.»

Per Marchese la famosa “work life balance” è una vera e propria rivincita: «Dopo tanti anni di lavoro lontano dai miei figli mi riprendo il tempo che ho perso».

Sai cos’è il “carico mentale”?
«Assumerti e trovati sulle spalle tutto ciò che riguarda la gestione di una famiglia: scuola, registro elettronico, bollette, quaderni o pannolini da comprare, dentista, attività sportive. Sono troppi tasselli per una sola persona. Vieni letteralmente sepolto. Dividersi il carico mentale fa bene alla coppia.»

Chi, invece, non ha mai smesso di lavorare ma della genitorialità condivisa ha fatto una sorta di movimento politico è un altro Daniele; Daniele Marzano (40 anni), meglio noto sui social come @guidasenzapatente (che poi è anche il titolo del suo primo libro). La sua comunità conta oramai circa 100 mila famiglie che condividono le sue battaglie contro gli stereotipi di genere. Marzano e Marchese sono amici da anni ed è stato il primo a spronare il secondo a fare divulgazione su Instagram: «Più siamo, più ci facciamo sentire e più riusciamo a cambiare le cose». 

Lui e la moglie Mickol lavorano a tempo pieno, vivono a Milano, hanno 3 bambini e per loro la gestione familiare non ha sesso. Tuttavia gli inserimenti dei figli li ha voluti seguire lui. «All’inizio ero l’unico padre, mentre l’ultima volta eravamo quasi la metà. Mia moglie ed io abbiamo deciso di essere un modello, vogliamo abbattere barriere e preconcetti.»

Quindi anche tu, come Marchese, sei nelle chat di classe…
«Sì e ti assicuro che, anche in questo caso, all’inizio ero l’unico papà mentre adesso ce ne sono tantissimi. Poi magari si pentono il minuto dopo esserci entrati perché le chat di scuola sono il male. Tra mille comunicazioni inutili ce ne sono due utili, quindi meglio quattro occhi per non perdersi messaggi importanti.»

Perché c’è tutta questa reticenza da parte dei padri a entrare in certi processi? 
«Perché ai papà è sempre stato detto che non era affar loro la gestione dei figli o della casa. Proprio come agli uomini è sempre stato detto di non piangere, perché li avrebbe resi meno virili, autoritari o autorevoli. Di battaglie ne abbiamo fatte parecchie. Adesso puntiamo all’estensione del congedo di paternità e, assieme a Unicef, abbiamo inviato al Ministro Calderone una petizione. E poi tanta divulgazione presso scuole, istituzioni e aziende.»  

La gioia nel concorrere alla gestione familiare e non è davvero da tutti…
«Non ci siamo voluti perdere la parte più bella di questo viaggio: i nostri figli. Anche sapere che le nostre compagne stanno bene, ci fa stare bene.»

Happy wife, happy life…
«Una donna che riesce a coltivare le proprie passioni e le proprie amicizie è una donna maggiormente disposta a portare avanti la vita di coppia. Troppo spesso, quando diventano madri, le donne si dimenticano di essere anche donne. Vengono totalmente fagocitate dalla cura della casa e dalla gestione dei propri figli. E questo non va bene, bisogna dividersi i compiti equamente laddove possibile.»

Marchese è figlio di genitori separati e la sua storia famigliare non gli è stata di ispirazione. Per te è stato diverso? 
«Mio padre molte cose in casa non le faceva; era un’epoca diversa ma non penso affatto di essere migliore di lui.  Mio nonno aveva 10 figli, lavorava 20 ore al giorno nelle fognature, non ha mai cambiato un pannolino ma portava letteralmente il pane a casa. Mi sento migliore di mio nonno? Assolutamente no. Ora i tempi sono cambiati e, soprattutto se entrambi i genitori lavorano, è giusto spartirsi la gestione domestica e famigliare.» 

Ed effettivamente, a sentire Diego Di Franco, alias @ilmeravigliosomondodeipapa (come il titolo del suo libro), qualcosa si è smosso. «Vedo sempre più papà che hanno voglia di vivere questa paternità, soprattutto quelli che non hanno avuto un bel rapporto con i propri genitori.»

Il suo è un osservatorio privilegiato perché quando sbarcò sui social nel 2010 di uomini che seguivano la sua pagina ce n’erano pochi. «Volevo un confronto con altri papà ma esistevano solo pagine dedicate alle mamme. All’inizio gli unici padri con cui interagivo erano separati e avevano bisogno di sfogarsi.» 

Quando Di Franco ha perso il lavoro nel 2019 ha deciso di restare a casa con i suoi due figli, si è aperto la partita iva ed è diventato content creator. La moglie Raffaella, invece, è ingegnere e la sera rincasa tardi.

Stai sperimentando anche tu il carico mentale?
«Solo adesso che mi occupo dei miei figli e della casa l’ho capito. Quando lavoravo dodici ore al giorno, inclusi i week-end, non ero così stanco. E’ qualcosa che ti distrugge mentalmente. Pensa che ogni volta che metto a letto i bambini mi sento Dio, poi crollo sul divano. Ma la cosa più brutta di questa parte è quando qualcuno entra in casa e trova i giochi sparsi a terra ed esclama: “ma allora non hai fatto nulla!” Dopo che ti sei fatto il mazzo tutto il giorno, senza nemmeno poterti fare una doccia, certi giudizi fanno male. Mi capita di discutere con le mamme che lavorano e che sminuiscono il ruolo di quelle che restano a casa con i figli, o il mio che ho deciso di vivere la paternità a 360 gradi. Non siamo nullafacenti o mantenuti.»

E gli altri papà ti giudicano?
«Diciamo che non comprendono questa cosa del padre a tempo pieno. Quindi quando continuano a chiedermi di cosa mi occupo con esattezza, taglio corto e dico che ho la partita iva e faccio il content creator. Così smettono di farmi domande. Ma, ripeto, ho molta fiducia nelle generazioni future. Stare a casa con i figli non deve essere più un tabù, per questo ho scelto di fare divulgazione.»

A Di Franco non piace neppure sentirsi dire “bravo”, sebbene lo sia. 

«Faccio esattamente le stesse cose che hanno sempre fatto le mamme, ma a loro nessuno dice “brave”, si dà per scontato. E’ un atteggiamento sessista, come sessista lo sono alcuni termini o espressioni che devono sparire dal nostro vocabolario.»

Cosa intendi?
«Quando un papà che si occupa dei figli non verrà più chiamato mammo, quando una donna che lavora non verrà definita “in carriera”, quando normalizzeremo il fatto che una donna e un uomo siano in grado di fare esattamente le stesse cose sia a casa sia per i figli – e senza elogiare nessuno – allora saremo a buon punto.»

Marchese, Marzano e Di Franco sono tre papà che, assieme alle loro compagne, stanno crescendo 8 figli (di cui 7 maschi!) in un ambiente di genitorialità condivisa. Sebbene non si sentano speciali, fanno notizia e – provocatoriamente – abbiamo voluto raccontare le loro storie nel giorno in cui si festeggiano i papà. 

E no, non sono perfetti, altrimenti stirerebbero anche!