Esteri

Usa 2024: incubo Hunter per Papà Joe; giudice sventola a Trump cartellino giallo

13
Agosto 2023
Di Giampiero Gramaglia

‘Incubo Hunter’ sulla campagna elettorale di Papa Joe. E una giudice sventola un cartellino giallo davanti a Donald Trump, in uno dei suoi tanti procedimenti giudiziari. I repubblicani che aspirano alla nomination fanno passerella nello Iowa, mentre preparano il loro primo dibattito televisivo, mercoledì 23 agosto, in diretta sulla Fox da Milwaukee.

In un hearing preliminare al vero e proprio processo a Trump per i tentativi di rovesciare l’esito delle elezioni 2020, Tanya Chutkan, giudice distrettuale federale, ha chiarito che la libertà d’espressione, garantita dal primo emendamento della Costituzione statunitense, non è assoluta; e lei non permetterà che l’imputato intimidisca testimoni e giurati e crei “un clima da carnevale”; e non si lascerà condizionare dalla campagna elettorale per Usa 2024.

Usa 2024: l’ombra di Hunter sulla campagna di Joe

La decisione del segretario alla Giustizia Merrick Garland d’elevare al rango di procuratore speciale David Weiss, il magistrato che da anni segue le vicissitudini di Hunter Biden, figlio del presidente, sotto accusa per vicende di droga e per l’acquisto illegale di un’arma, può solo essere una mossa per stornare dall’Amministrazione le critiche sulla gestione del caso, che sarebbe sottostimato, ma può anche essere un indice che la vicenda merita più attenzione di quanta ne abbia finora ricevuta.

Il flop del patteggiamento concordato tra l’accusa e i legali di Hunter, bocciato in aula perché non formulato in termini giuridicamente e costituzionalmente corretti, mantiene aperta la vertenza, che è una spina nel fianco della campagna di Biden per la rielezione. E anche i media liberal s’interrogano sulla propensione del figlio del presidente a lasciare credere ai clienti di cui era consulente d’essere in grado esercitare un’influenza sulla cosa pubblica, anche se non era così.

Alla Camera, i repubblicani stanno ancora raccogliendo le prove per vedere se ci sono le condizioni per aprire una procedura d’impeachment nei confronti del presidente, pur sapendo che l’iniziativa sarebbe una bolla di sapone, perché non ci sono i numeri per fare passare l’impeachment al Senato e forse neppure per fare approvare la messa in stato d’accusa dalla Camera, dove la loro maggioranza è risicata.

Ma anche questa, come quella del Dipartimento della Giustizia, è una decisione essenzialmente politica: se non lanciano l’impeachment, i repubblicani danno l’impressione di mettere in soffitta tutte le accuse di nepotismo formulate contro Biden, che possono tornare utili in campagna; e, inoltre, lanciando l’impeachment, creeranno un elemento di distrazione rispetto allo stillicidio d’incriminazioni che si stanno abbattendo sul loro ‘campione’, che al momento è Trump.

Un episodio nello Utah getta un’ombra d’angoscia sulla campagna elettorale: a Provo, agenti dell’Fbi hanno affrontato e ucciso un uomo che aveva minacciato di morte il presidente Biden, poche ore prima che questi arrivasse nella capitale dello Stato, Salt Lake City, per fare un discorso. Un segno che la polarizzazione politica negli Stati Uniti può avere derive violente e tragiche.

Usa 2024: aspiranti alla nomination repubblicana verso il primo dibattito

Quasi tutti gli aspiranti alla nomination repubblicana sono nello Iowa in questo fine settimana – Ferragosto non è festa nell’Unione -, in occasione della Iowa State Fair, per cercare di connettersi con gli elettori dello Stato che il 15 gennaio, fra cinque mesi esatti, aprirà la stagione delle primarie; e anche per prepararsi al loro primo dibattito televisivo.

Finora, solo cinque su dodici aspiranti alla nomination riempiono tutte le condizioni per partecipate al dibattito: hanno donatori a sufficienza, sono abbastanza quotati nei sondaggi e si sono impegnati a sostenere – a giochi fatti – il candidato del partito, chiunque egli sia. I cinque sono Ron DeSantis, Nikki Haley e, un po’ sorprendentemente, Vivek Ramasvami, Doug Burgun e Tim Scott.

Fra i cinque, non c’è Trump, il battistrada in tutti i sondaggi, che non intende, però, sottoscrivere l’impegno noto come ‘Beat Biden pledge’. Il magnate sostiene: “Ci sono almeno tre o quattro persone – nel lotto degli aspiranti, ndr –  che io non sosterrei per la presidenza”.

Oltre a Trump, anche il suo ex vice Mike Pence e l’ex governatore del New Jersey Chris Christie non hanno ancora sottoscritto il ‘Beat Biden pledge’, ma rispettano tutte le altre condizioni. Invece, altri candidati minori, come l’ex governatore dell’Arkansas Asa Hutchinson, il sindaco di Miami Francis Suarez, l’uomo d’affari del Michigan Perry Johnson, l’ex deputato del Texas Will Hurd e l’opinionista radiofonico conservatore californiano Larry Elder non raggiungono uno o più o nessuno dei criteri.

Nello Iowa, Trump ha sui rivali un margine meno netto che a livello nazionale. E i suoi avversari sperano di sfruttare questa relativa debolezza locale del magnate per istillare il dubbio nella mente dei suoi sostenitori dopo una ‘falsa partenza’. DeSantis, sulla carta il principale antagonista, ha recentemente preso le distanze dall’ex presidente, riconoscendo che Biden vinse davvero le elezioni del 2020 e Trump le perse – finora, aveva sempre evitato di dare una risposta netta su questo punto -; e anche gli altri aspiranti alla nomination repubblicana paiono più inclini ad attaccare il magnate ed a prendere le distanze dalla sue affermazioni assurde.

Usa 2024: Trump fa campagna sui guai giudiziari; notizie dai processi

Più che al dibattito, Trump pensa a fare campagna giocando sui guai giudiziari, che i suoi fans bollano come un attacco alla libertà di espressione. Il magnate se la prende anche con Washington, dove deve svolgersi il processo sulle elezioni e dove non gli sarebbe garantito un equo giudizio, e chiede che il dibattimento sia trasferito altrove. Decine di facinorosi che il 6 gennaio 2021, sobillati dall’allora presidente, diedero l’assalto al Campidoglio, hanno già fatto analoghe richieste, ma tutte le loro istanze sono sempre state respinte.

Le tesi che le inchieste su Trump ne violerebbero la libertà d’espressione costituzionalmente garantita sono state rinfocolate dalla notizia che Jack Smith, il procuratore speciale che indagava sulle manovre per rovesciare l’esito delle elezioni nel 2020, ottenne da Twitter informazioni sull’account dell’ex presidente, dopo che il social network era stato multato per 350 mila dollari perché non avere tempestivamente ottemperato alla richiesta.

Hans von Spakovsky, un analista conservatore, scrive sul Daily Signal della Heritage Foundation che “l’incriminazione di Trump è una perversione del sistema politico degli Stati Uniti: nulla più e nulla meno… E’ un attacco alla democrazia statunitense e diritto garantito dal primo emendamento di liberamente discutere e dibattere e contestare la serietà delle elezioni e importanti temi politici”.

D’altro canto, i media liberal s’interrogano sui rischi creati alle regole democratiche dalle manovre dell’allora presidente e dei suoi sodali per ostacolare la transizione dei poteri e la formalizzazione del risultato elettorale, ma riconoscono che l’incriminazione di Trump per cospirazione costituisce “la maggiore sfida” mai affrontata dal Dipartimento della Giustizia.

In Georgia, la prossima settimana un Grand Jury comincerà a valutare gli elementi raccolti contro l’ex presidente nell’inchiesta sulle pressioni da lui esercitate sulle autorità locali per rovesciare l’esito del voto nello Stato.

Nel procedimento in Florida per i documenti riservati sottratti alla Casa Bianca e non consegnati agli Archivi Nazionali, due dipendenti del magnate, suoi co-imputati, sono comparsi in aula: Waltine ‘Walt’ Nauta s’è dichiarato non colpevole dei reati ascrittigli, mentre il procedimento verso Carlos De Oliveira, è rimasto al momento impantanato in questioni procedurali. Secondo l’accusa, entrambi avrebbero aiutato il loro boss a celare agli inquirenti i documenti, rinvenuti poi durante una perquisizione dell’Fbi.