Esteri

Tunisia, urne disertate. Saied resta al comando ma nel caos

31
Gennaio 2023
Di Giuliana Mastri

In Tunisia, a più di dieci anni dalla deposizione dello storico dittatore Ben Ali, la democrazia fa fatica a emergere. Tanto che a seguito delle nuove consultazioni elettorali di domenica, al ballottaggio per confermare o meno il presidente Kais Saied, l’astensione ha raggiunto livelli esorbitanti, con un’affluenza di solo l’11,3% dei votanti. Su 7,8 milioni aventi diritto, se ne sono presentati alle urne 887.638. Numeri scarsissimi che rendono davvero difficile considerare la rielezione di Saied credibile, anche se legittima dal punto di vista costituzionale. Il suo mandato ora scade nel 2024, quando si andrà di nuovo a votare.

Le ragioni di quanto accaduto sono più di una. E possono essere interpretate come un segnale di reattività da parte della base popolare, o al contrario come l’amara costatazione che la Tunisia non è ancora matura per un sistema politico moderno. Hanno voluto far capire a Saied che deve andarsene, o hanno implicitamente manifestato il disinteresse per le consultazioni elettorali, in cui vi sono partiti di cui non ci si fida e che non possono più soddisfare le strette esigenze individuali? Anche il partito islamista d’opposizione Ennahda sembra non avere più molta presa e tutte le forze alternative a Sied hanno incitato all’astensione. Contro un presidente il quale, già in carica, a luglio del 2021 ha modificato la Costituzione in senso iper-presidenzialista, esautorando il parlamento, congelando la Camera dei rappresentanti e acquisendo tutti e tre i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Ma per quanto i detrattori del presidente ci tengano a dire che il popolo ha mandato un messaggio chiaro e inequivocabile, è comunque strano che allora non si sia cercato di battere Saied con lo strumento del voto. Forse, in realtà, i tunisini sono più presi dalla crisi economica che dai dibattiti su quale modello politico sia il migliore. E del resto quando hanno votato Saied nel 2019 lo hanno fatto anche conoscendo il punto di vista dell’attuale leader, che non ci pensa nemmeno a lasciare il timone e anzi non può essere fatto dimettere per via costituzionale, mancando specifiche regole nel nuovo ordinamento, anche se a quanto pare non si sottrarrà al giudizio popolare nel 2024.

Intanto la Tunisia non si è ancora ripresa dagli effetti della pandemia Covid, l’inflazione è molto alta e la disoccupazione dilaga. Tunisi aveva raggiunto un accordo preliminare con il Fmi per un finanziamento a 48 mesi di circa 1,9 miliardi di dollari per sostenere il programma di riforma economica del governo. Tuttavia, a causa dei ritardi nella promulgazione della legge finanziaria e delle poche garanzie date, il Paese ha ricevuto solo 200 milioni della Banca europea e 150 serviranno per comprare subito grano tenero L’Agenzia Moody l’ha declassato a Paese ad “altissimo rischio” esattamente come il Libano, esposto a default. Il caos ovviamente rende più fertile un probabile rafforzamento delle forze islamiste più radicali, intenzionate a riprendere il potere, anche se comunque Saied ha posto la religione musulmana come perno. Ecco anche perché il rinvigorimento dei rapporti con Erdogan è ora un’eventualità che pare non ostacolata dagli Stati Uniti. Ma tutto ciò a discapito dello sviluppo, desiderato da molti inclusa l’Italia – partner importante – di una giovane democrazia.

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