Esteri
Se Trump si volta dall’altra parte, è ora di usare i soldi russi congelati in Europa
Di Tommaso Carboni
Da Zelensky che “non ha le carte”, a un ottimismo quasi spericolato: Kiev può “combattere e riprendersi tutto il suo territorio”. Che significa l’ultima piroetta di Trump? Gli analisti si sono sperticati. Ma il dettaglio che conta davvero è questo: l’Ucraina può vincere, dice Trump, anche solo “con l’aiuto dell’UE”. Tradotto, l’America non ci mette più un soldo. Trump è disposto a fornire intelligence, è contento di vendere armi, ma non vuole spendere nulla. E ciò lascia i governi europei come l’unico vero salvadanaio di Kiev.
Questo mentre affrontano crescita stagnante, debito e partiti populisti che prendono il largo. Il buco nel bilancio ucraino nel frattempo si aggrava. Per il prossimo anno, ricorda l’Economist, mancano 19 miliardi di euro tra quanto promesso dai paesi amici e quanto chiesto da Kiev. Ed è così, quasi per disperazione, che si guarda con sempre più insistenza ai fondi russi immobilizzati in Europa come ritorsione alla guerra. In particolare al denaro bloccato presso Euroclear, un deposito titoli in Belgio.
Quei soldi già maturano interessi (circa 3-5 miliardi l’anno) trasferiti a Kiev. Ma ora l’Europa sta studiando dei modi per trasferire somme molto più grandi, senza però che l’operazione risulti formalmente un sequestro. Il piano è usare non più i rendimenti, bensì qualcosa che si avvicini al capitale stesso. C’è stata una lunga resistenza: rischi legali, e il timore che la confisca avrebbe scioccato gli investitori minando la fiducia nell’Eurozona. Ma più passa il tempo più l’opposizione si allenta. Anche la Germania, prima dubbiosa, ha appoggiato un trasferimento più massiccio di risorse.
Euroclear ha in mano 185 miliardi di euro di liquidità legata agli asset di Mosca – principalmente beni della Banca centrale russa e oligarchi sanzionati. Una parte serve a ripagare un prestito già elargito dal G7 a Kiev. Il resto verrebbe distribuito a tranche all’Ucraina. La Commissione Europea ha diffuso una nota su un prestito di “riparazione” da 140 miliardi di euro. Finanzierebbe sia la “cooperazione in materia di difesa”, sia le necessità di bilancio ordinario del governo ucraino. Su questo punto c’è un po’ di discrepanza: il cancelliere Merz, che è d’accordo con l’impianto generale, ha scritto sul Financial Times che i soldi russi devono finanziare solo la spesa militare – acquisti di armi decisi congiuntamente da Kiev e dagli stati membri Ue.
Secondo Politico, che ha esaminato la nota della Commissione, il piano “non tocca direttamente gli asset sovrani di Mosca (cioè i crediti su Euroclear)”. Questi asset sono stati investiti in titoli di stato occidentali ormai giunti a maturazione, quindi liquidi; e questa liquidità è parcheggiata in un conto di deposito presso la Banca Centrale europea. L’idea è che l’Ue ridiriga questi fondi verso l’Ucraina, stipulando con Euroclear un contratto di debito su misura a tasso zero.
Non è chiaro quanto questo schema coincida con altre proposte circolate nelle scorse settimane. Secondo cinque funzionari citati dal Financial Times, uno dei meccanismi sul tavolo consiste nell’uso di saldi in contanti degli asset congelati per comprare bond europei a tasso zero, e il capitale così raccolto verrebbe poi trasferito a Kiev. Mosca riavrebbe accesso a quei fondi solo se accettasse di risarcire l’Ucraina per i danni di guerra – cosa improbabile. L’altra opzione, invece, è creare una SPV (special purpose vehicle), cioè una società veicolo incaricata di gestire flussi finanziari, che consentirebbe
anche la partecipazione di paesi non UE.
Gli ostacoli sono di almeno due tipi. L’uso di bond Ue richiede che i paesi membri garantiscano i prestiti, così da condividere il rischio. È una condizione necessaria soprattutto per il Belgio, dove sono bloccati gli asset russi, e che teme di rispondere da solo in caso di azioni legali. L’altra difficoltà è congelare gli asset per tutta la durata del prestito: oggi le sanzioni Ue che bloccano i beni russi vanno rinnovate ogni sei mesi con decisione unanime, e Viktor Orban ogni volta minaccia di far saltare tutto. Ma potrebbero esserci dei modi per aggirare la zavorra ungherese. Merz, nel suo articolo su FT, ha
parlato di un meccanismo approvato da “una larga maggioranza”, e ciò significa che pensa a una formula immune da singoli veti. La spinta a procedere arriva anche dagli Stati Uniti: Trump è favorevole.
E anche l’Inghilterra potrebbe essere della partita – se si creasse una struttura aperta a paesi extra Ue. Per ora si muove per conto suo: la scorsa settimana ha proposto un prestito a Kiev basato su circa 25 miliardi di euro di asset russi immobilizzati a Londra. In ogni caso, i ministri delle finanze del G7 si incontreranno online per coordinare queste iniziative. Appuntamento, mercoledì primo ottobre. Il Cremlino, intanto, minaccia: “il sequestro non rimarrà senza conseguenze”. Le incursioni di jet e droni russi nei cieli Nato sono già un avvertimento. Ma perché dovremmo pagare noi europei il disastro combinato da Putin?





