Esteri

Russia-Ucraina, Fassino: una guerra che non conviene a nessuno

22
Febbraio 2022
Di Flavia Iannilli

«E’ il momento più pericoloso per la sicurezza europea da generazioni» dichiara il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg in conferenza stampa. La Russia non fa segreto delle mosse che possono portare ad un attacco su larga scala. «Le prossime ore e giorni saranno critici. Il rischio di un grande conflitto è reale e deve essere prevenuto a tutti i costi» sono le parole di Rosemary Dicarlo, sottosegretario agli affari politici dell’Onu. I funzionari americani in una conversazione riservata con Volodymir Zelensky, presidente ucraino, ne valutano un suo trasferimento da Kiev a Leopoli. Un’opzione che potrebbe divenire reale se la Russia non ferma la sua escalation. L’analisi dagli Accordi di Helsinki alla guerra mediatica, sperando di non arrivare ad una reale guerra “che non conviene a nessuno”, con il Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, Piero Fassino.

Qual è la posizione dell’Italia in relazione alla tensione tra Russia e Ucraina?
«L’Italia esprime la condanna più netta nei confronti della decisione di Putin di riconoscere le autoproclamate repubbliche separatiste del Donbass e di intervenire su territorio ucraino. Quella decisione è una violazione degli accordi di Helsinki, che Mosca sottoscrisse nel 1975, che prevedono l’intangibilità dei confini, il rispetto della sovranità e l’integrità territoriale di ogni paese europeo. Ed è una violazione degli Accordi di Minsk, la piattaforma per un accordo condivisa da Mosca con Kiev. Infine è una violazione dei principi fondamentali di convivenza della comunità internazionale. Da ogni punto di vista quanto accaduto non è accettabile. Lo abbiamo detto in tutti i modi e, mentre si cercava faticosamente una soluzione politica alla crisi, l’atto di riconoscimento delle repubbliche del Donbass ha fatto da detonatore ad una crisi che poteva avere un esito diverso. In ogni caso, non bisogna rinunciare alla ricerca di una soluzione che eviti tragedie ancora più grandi».

Lei ha parlato della sindrome di accerchiamento della Russia, secondo lei la “finlandizzazione” è una delle strade percorribili, da valutare, per porre fine alle tensioni?
«La Russia vive da sempre una “sindrome di accerchiamento”, per cui ispira sempre la sua politica alla necessità di garantirsi una sicurezza contro rischi eventuali. Una sindrome che oggi non ha nessun fondamento, perché non c’è nessuno in Europa, negli Stati Uniti e nella NATO che pensa di accerchiare la Russia. Ricordo che anni fa, in occasione di una riunione NATO in Italia fu costituito il Consiglio di cooperazione NATO-Russia proprio per avere una sede di interlocuzione. E quando venne allargata l’Ue ai paesi dell’Europa centrale, negli stessi giorni si siglò il primo accordo di partenariato tra Unione europea e Russia, a dimostrazione del fatto che non c’era nessun atteggiamento di ostilità. Peraltro, è curiosa anche la vicenda della NATO, invocata da Putin come la causa di questa crisi. In realtà l’Ucraina, fino ad oggi, non ha presentato domanda di adesione alla NATO e per entrarne a far parte è necessaria l’unanimità dei suoi paesi membri. Una condizione che oggi non c’è. Alla esigenza della Russia di sentirsi sicura la risposta giusta è ricostruire un’architettura di sicurezza europea, concordata tra Stati Uniti, Russia e Europa, come si fece ad Helsinki nel 1975. Certo, sono passati 50 anni, il mondo è cambiato ed è cambiata l’Europa. Riaggiorniamo quell’accordo, ridefiniamo tutti insieme (Stati Uniti, Europa, Russia), quali sono principi, regole e strumenti per una sicurezza comune. In maniera tale che ogni paese sia liberamente sovrano e nessuno possa temere per la propria sicurezza, Russia compresa. Quanto alla questione della finlandizzazione, un eventuale neutralità dell’Ucraina deve discendere esclusivamente da una scelta dell’Ucraina stessa, non da un diritto di veto della Russia o di qualcun altro».

Perché l’Unione europea è incapace di porsi come un attore unico nell’attività di mediazione?
«Per una ragione che si manifesta non solo in politica estera, ma anche in altri settori, e spesso: l’Unione europea è stata costituita dagli stati nazionali europei per realizzare politiche comuni attraverso un processo di integrazione che consenta all’Europa di avere un’unica voce e di agire con un’unica mano. Questa scelta, però, si scontra ogni volta, soprattutto in materia di politica estera, con quella che io chiamo la “gelosia delle nazioni”. Ogni nazione, con difficoltà, vive il trasferimento di una parte delle sue competenze e delle sue prerogative all’Unione europea, con l’idea, sbagliata, che difendere le proprie prerogative significhi difendere la propria sovranità. Non è così, perché trasferire una parte di competenze all’Unione europea equivale a far parte di una sovranità comune. D’altra parte mi pare che tutto quello che accade nel mondo lo dimostri. L’Europa deve decidere se vuole essere un attore forte con una voce altrettanto forte, agire con una mano sola e parlare attraverso una sola lingua, oppure no. In questa crisi è certamente importante che Macron, Scholz, Draghi, parlino la stessa lingua e lo stanno facendo. Però parlare la stessa lingua crea il presupposto per avere poi un’azione comune. Spero che questa crisi solleciti l’Unione europea ad un salto di qualità in avanti per dotarsi di una politica estera e di una politica di difesa europea più assertiva di quanto non lo sia stata fino ad ora».

Piero Fassino ospite ad A View From Italy sulla crisi russo-ucraina

USA e Unione Europea minacciano la Russia attraverso dure sanzioni, secondo lei è un metodo che porterà Putin a ragionare sulla de-escalation?
«Le sanzioni sono inevitabili. Ci sono sanzioni individuali indirizzate a personalità responsabili di questa crisi, e sanzioni economiche sull’interscambio commerciale e sugli investimenti. Sono sanzioni che costeranno molto alla Russia, perché il primo partner commerciale della Russia è proprio l’Unione europea, i principali investimenti sul mercato russo sono nei paesi europei. Le sanzioni potranno penalizzare naturalmente anche noi. Per questo è necessario valutare bene non solo quali sanzioni applicare ma anche come renderle efficaci sulla Russia senza penalizzare troppo i nostri interessi».

Nelle recenti interviste che abbiamo fatto con Dottori e Caracciolo sul futuro della politica estera internazionale è emersa l’utilità della governance sui Big Data che nel tempo potrebbe sostituire la funzionalità degli armamenti convenzionali e delle forze sul territorio. Anche all’inizio del conflitto Russo-Ucraino abbiamo assistito agli attacchi ibridi; secondo lei si arriverà a conflitti “limitati” agli attacchi informatici oppure saranno una componente da accostare alle armi convenzionali?
«Ormai la guerra si attua su molti fronti. In queste settimane abbiamo visto come il conflitto si è giocato anche sul terreno comunicativo. Il discorso di ieri sera di Putin era interamente rivolto ai russi, per contrapporre la narrativa di Mosca e quella dell’Occidente. Il gioco e lo scontro delle dichiarazioni hanno un peso. Nello specifico influenzano le opinioni pubbliche, ma rendono anche prigionieri coloro che narrano. In questi scenari si inseriscono anche le attività di cyber-war, l’uso del digitale. Sappiamo che gli hacker russi hanno influenzato e tuttora influenzano i processi elettorali. I giornali si sono occupati molto di questo tema in relazione alle elezioni americane e francesi. Ma ciò la pesante azione dei pirati informatici russi si manifesta anche paesi balcanici. Un altro esempio di guerra ibrida è rappresentato dal modo in cui Lukashenko, in Bielorussia, ha usato gli emigrati. Poi c’è la guerra convenzionale, quella che si fa con gli eserciti e con i soldati, che naturalmente rimane e si incrocia sempre di più con l’utilizzo di altri mezzi».

La scorsa settimana Draghi ha dichiarato che, nell’ambito della discussione Ue, le sanzioni dovrebbero concentrarsi su settori mirati senza comprendere l’energia. Il Wall Street Journal oggi interpreta queste parole come un vantaggio per Putin. Secondo lei esiste la necessità, da parte degli Stati Uniti, di “stare attenti” a Palazzo Chigi?
«Questa è un’interpretazione molto forzata delle parole di Draghi. Gli USA hanno annunciato di essere disponibili a sopperire all’esigenza energetica dell’Europa, tuttavia non sappiamo a quali tariffe.  Gli Stati Uniti dovrebbero garantire almeno prezzi analoghi. L’Italia in questo momento è presidente di turno del Consiglio d’Europa, un’istituzione, con sede a Strasburgo, creata nel ‘46 subito dopo la Guerra su ispirazione di Churchill per riappacificare i paesi che si erano combattuti durante la Seconda Guerra mondiale. La finalità di quella istituzione cardine è la tutela della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti da parte di tutti i 47 paesi europei, Russia compresa. L’Italia è presidente di turno in questo momento. In virtù della presidenza italiana di questa istituzione, credo che nel viaggio a Mosca di Draghi, oltre ai temi economici-politici, dovrà affrontare anche questi temi. Avendo compiuto un atto che mette in discussione i principi fondamentali di diritto la Russia corre il rischio di essere estromessa dall’unica assemblea parlamentare in cui oggi è presente. Ricordo questo aspetto perché sicuramente il tema energetico è importantissimo, ma in Draghi c’è sicuramente un approccio per cui si possano subordinare i valori democratici al problema del gas. Il gas è importante ma i valori vengono prima».