Esteri

Medio Oriente: guerre, tre morti Usa pesano più di decine di migliaia di israeliani e palestinesi

01
Febbraio 2024
Di Giampiero Gramaglia

Tre morti americani pesano più di 1200 israeliani uccisi dai terroristi di Hamas il 7 ottobre o di oltre 26 mila palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane in 120 giorni di guerra ed orrori: la risposta che il presidente Usa Joe Biden mette a punto all’attacco a un posto d’osservazione in Giordania può “accelerare la spirale del conflitto in Medio Oriente”, nota Ishaan Tharoor sul Washington Post, secondo cui la crisi attuale “è la coda delle scelte fatte alla Casa Bianca da Donald Trump”.

La situazione è una di quelle – dice la Cnn – in cui “non c’è una buona opzione”: non fare nulla significa incoraggiare nuovi attacchi; reagire rischia di fare deflagrare l’intera Regione. Lo scenario è quello più temuto da Biden, che, fin dallo scoppio della guerra, ha cercato di evitare l’escalation e l’allargamento del conflitto, ma ha poi finito per divenirne un attore rispondendo agli attacchi contro postazioni Usa in Siria e in Iraq e prendendo di mira le postazioni degli Huthi nello Yemen, da cui partono droni e missili che minacciano la navigazione nel Mar Rosso.

Ma, finora, non c’era scappato il morto americano, se non si contano gli israeliani ed i palestinesi con doppia nazionalità uccisi il 7 ottobre o nella Striscia di Gaza. Il Washington Post scrive: “L’Iran ha superato la linea rossa”; il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby non ha dubbi: “Risponderemo, ma non cerchiamo la guerra con l’Iran”. Teheran nega ogni responsabilità nell’azione letale in territorio giordano.

Per la Striscia di Gaza, dove la situazione umanitaria è disperata e dove oltre 65 mila feriti non hanno cure adeguate, si cerca une tregua in colloqui a Parigi tra negoziatori di Israele, Usa, Egitto e Qatar. L’annuncio del ritorno in zona, da sabato, del segretario di Stato Usa Antony Blinken può però indicare che fino ad allora non accadrà nulla. Intanto, a Khan Yunis, considerata la roccaforte delle bande armate di Hamas, prosegue l’assedio israeliano: l’esercito calcola di avere neutralizzato negli ultimi giorni oltre cento terroristi.

Lunedì, il presidente Biden aveva consultato i suoi consiglieri di sicurezza nazionale per decidere come rispondere all’attacco con droni e aveva avvertito che la risposta americana sarebbe stata più determinata che le precedenti in Siria e in Iraq, anche se Casa Bianca e Pentagono prestavano attenzione a non fare trapelare i loro piani. L’azione viene attribuita a milizie vicine all’Iran, attive in tutta la Regione: un dato che rende più complessa una situazione già estremamente tesa.

Guerre in Medio Oriente: gli sviluppi con conflitto tra Israele e Hamas
Sul fronte del conflitto tra Israele e Hamas, i negoziati per un baratto tra una tregua prolungata, ma non definitiva, e la restituzione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas (fino a 130, ma s’ignora quanti di essi siano morti) “fanno buoni progressi”, secondo fonti del Qatar, ma non sono ancora giunti a un’intesa.

Hamas chiede il ritiro dalla Striscia delle forze israeliane – una condizione che Israele non accetta – e la liberazione di detenuti palestinesi, secondo calendari e modalità da definire. Biden ha affidato la gestione della trattativa al direttore della Cia William Burns, in attesa dell’arrivo di Blinken.

Washington e Doha negoziano pure lo sblocco di fondi iraniani (6 miliardi di dollari) in due banche del Qatar dopo la liberazione a Gaza a fine novembre di alcuni ostaggi americani: la trattativa è complicata dai recenti sviluppi nella Regione e nel Mar Rosso, con le azioni anti-Usa delle milizie potenzialmente ispirate da Teheran.

Sul campo, l’esercito israeliano ha ordinato agli abitanti di diversi quartieri di Gaza City, ritornati alle proprie abitazioni, di raggiungere “le zone umanitarie” allestite nel Sud della Striscia. E si succedono azioni in CisGiordania – agenti israeliani travestiti da medici e infermieri irrompono, armi in pugno, in un ospedale di Jenin – e scaramucce con gli Hezbollah al confine tra Libano e Israele.

Suscita scalpore la denuncia che, secondo l’intelligence israeliana, diversi dipendenti dell’agenzia dell’Onu per i palestinesi, l’Unrwa, siano militanti di Hamas (addirittura il 10% dei circa 12 mila) e che 12 di essi abbiano preso parte alle azioni terroristiche del 7 ottobre. L’Onu ha già effettuato molti licenziamenti, dopo avere esaminato la documentazione fornitagli, e il segretario generale Antonio Guterres s’è detto “inorridito” e ha ordinato un’inchiesta interna. Numerosi Paesi, fra cui gli Usa e l’Italia, hanno sospeso i finanziamenti all’Unrwa, che, nella Striscia di Gaza, è il datore di lavoro più importante.

I palestinesi fanno notare che bloccare i fondi dell’Unrwa mette a rischio gli aiuti umanitari. Israele, invece, chiede che l’Agenzia dell’Onu lasci la Striscia: il ministro degli Esteri Israel Katz evoca provvedimenti contro i dirigenti: “Molti dipendenti con ideologie omicide sono affiliati ad Hamas”. E, intanto, l’intelligence israeliana fa un’altra scoperta sconcertante: molte armi usate il 7 ottobre dai miliziani di Hamas e di altre sigle terroristiche provenivano dagli arsenali militari israeliani (non è chiaro se rubate o dismesse). 

All’Aia, la Corte di Giustizia internazionale, che esamina la denuncia di genocidio del SudAfrica contro Israele, ordina a Israele di “adottare le misure necessarie” per scongiurare il genocidio e l’uccisione di civili nella Striscia di Gaza e per facilitare l’afflusso di aiuti umanitari, ma non chiede di interrompere le operazioni militari.

Israele ha un mese di tempo per riferire alla Corte le misure prese. Per i palestinesi il verdetto, che è vincolante, è una vittoria. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu respinge “il tentativo di negare a Israele il diritto all’autodifesa”. Sul merito della questione, se vi sia o meno un genocidio a Gaza, la Corte si riserva di decidere.

Guerre in Medio Oriente: l’attacco letale alla base Usa
I tre militari americani, due uomini e una donna, sono morti in un attacco notturno con un drone contro una postazione sul confine tra la Giordania nord orientale e la Siria; altri 34 sono rimasti feriti. Un portavoce del governo di Amman, parlando alla tv pubblica del suo Paese, ha sostenuto che l’attacco non sarebbe avvenuto in territorio giordano, ma in Siria, dove c’è la base di Al-Tanf.

Il Wall Street Journal chiarisce: è stata colpita la Tower 22, piccolo avamposto Usa in Giordania vicino alla base Al-Tanf, che è invece al di là del confine, nel Sud-Ovest della Siria: forze Usa collaborano, senza l’avallo di Damasco, con partner locali contro l’Isis. La Tower 22, nel deserto, fa capo alla base di Al-Tanf.. 

Dalla ricostruzione degli eventi, è poi emerso un errore di valutazione da parte della difesa aerea statunitense: il drone nemico, che volava a bassa quota per eludere l’intercettazione, sarebbe stato scambiato con un drone Usa che rientrava da una missione e per questo non sarebbe stato abbattuto. Il Pentagono parla di “errore umano”; lo U.S. Central Command sta ancora accertando i fatti.

Dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, milizie filo-iraniane hanno attaccato le basi Usa oltre 60 volte in Iraq e oltre 90 volte in Siria. Quello della Tower 22 è, però, il primo caso in Giordania, un Paese alleato degli Stati Uniti con un ruolo chiave in Medio Oriente (anche a Gerusalemme dove sovrintende ai luoghi santi): vi stazionano circa 3000 militari americani.

L’Iran, che nega ogni responsabilità, come fa sempre quando operano milizie sue affiliate, denuncia i tentativi di Washington “di rovesciare la realtà della Regione”. Media dell’area segnalano che milizie filo-iraniane hanno evacuato loro postazioni, nel timore di ritorsioni statunitensi.