Esteri

Scacco all’Ayatollah

29
Dicembre 2022
Di Carlo Mori

Tra le tante immagini di donne macinate dai media durante l’anno, arriva quasi allo scoccare dell’ultimo rintocco quella che ritrae un mezzo sorriso la più nuda tra tutte, svelata, coperta solo da un tavolino. Si chiama Sara Khadim al-Sharia, è giovane ha 25 anni, è una campionessa di scacchi iraniana, partecipa al Campionato mondiale 2022 in Kazakistan. Scopre a poco a poco le sue mosse sopra ad una scacchiera, nascondiglio temporaneo di ogni strategia, tattica, appetito, campo di battaglia o campo santo di ogni pedone, alfiere o re. Si offre ai fotografi con il capo scoperto, senza indossare l’hijab, diventato simbolo di controllo e prigionia delle giovani iraniane. 

Quest’anno molte giovani donne iraniane hanno voluto liberarsene, in contestazione al regime degli ayatollah giudicato repressivo e sanguinario. In Iran nel 2022 è divampata la protesta dopo la morte di Mahsa Amini, una ragazza di origini curde di 22 anni arrestata a settembre dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo, tornata dalla famiglia in un sacco per cadaveri dall’ospedale di Teheran per il coma sopravvenuto nel commissariato di Gasht-e-Ershad. La prima fiaccola è stata accesa nella cittadina di Saqqez, città di origine di Mahsa, nel Kurdistan iraniano, per raggiungere le piazze della capitale Teheran, poi Mashhad, città natale del Presidente della Repubblica Islamica Ebrahim Raisi e Qom vero centro spirituale sciita, coinvolgendo un totale 161 città, tutte le 31 province del Paese. Dalla morte di Mahsa Amini, secondo quanto riporta la Iran Human Rights, hanno perso la vita 476 manifestanti, decine di migliaia invece gli arresti. 

Non si protesta per un velo ma quello che rappresenta, un cappa che nasconde le vergogne e gli insuccessi della Repubblica islamica: crisi economica, una crescita inesistente da un decennio, le sanzioni, l’inflazione, negazione delle libertà, corruzione, repressione e un futuro che non si vede. L’hijab è divenuto il simbolo del regime degli Ayatollah e dei suoi fallimenti, la catena tra ogni donna, istruita a tramandare alla prossima generazione che nulla cambi. Per quanto se ne dica sono le donne l’ingranaggio del tempo, si fermano le donne, il tempo si ferma. Custodi e distruttrici di ogni ordine sociale: «la rivoluzione più grande è, in un paese, quella che cambia le donne e il loro sistema di vita» scrisse Oriana Fallaci, che la Rivoluzione Islamica l’aveva guardata negli occhi appena nata. Per lei, irriverente toscana, quel velo rappresentava un atto di sottomissione e sottomessa lei non avrebbe mai voluto esserlo, nemmeno di fronte al leader della rivoluzione Khomeini che intervistò togliendosi platealmente l’hijab. Sentimento oggi condiviso.    

Quel velo sembra aver perso infatti la sua sacralità, si è inceppato negli ingranaggi del regime, scoprendo il capo delle donne che esibiscono i loro capelli nelle competizioni internazionali, contravvenendo agli obblighi della teocrazia. Prima l’arrampicatrice Elnaz Khelab, poi la pattinatrice Niloufar Mardani, salita sul podio a capo scoperto dopo una gara per farsi testimone discreta della protesta delle donne iraniane contro un regime asfittico. Parafrasando von Clausewitz, sport come continuazione della protesta con altri mezzi, protesta probabilmente figlia di una rivoluzione gnostica arrivata oltre il tempo limite. Sarà nel caso la Storia a dirlo.  

Intanto a Teheran si gioca a scacchi, giovani generazioni contro ordine teocratico. È il turno di Sara e di tante altre donne, disegnano la propria strategia, non si nascondono più dietro a un velo e scoprono le proprie mosse, avanzano pedone dopo pedone, un alfiere poi l’altro. Casella dopo casella sino allo scacco all’Ayatollah.  

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