Esteri

Iran, il Paese che chiede un rewind

09
Dicembre 2022
Di Flavia Iannilli

Farah Diba è l’ultima imperatrice del moderno Iran, per essere precisi l’ultima della Persia, moglie del deposto scià Reza Pahlavi. Nonostante i titoli dei Pahlavi siano stati rimossi dallo stato islamico, Farah Diba rimane, seppur in maniera formale, a capo della casa imperiale. Una donna che, attraverso un’intervista, riporta il proprio punto di vista su quanto sta accadendo in Iran.

La lunga serie di proteste che hanno fatto il giro di tutto il mondo, le immagini delle donne senza velo che scendono in strada per la propria libertà e degli uomini che le sostengono dimostrano la forza del movimento. C’è chi direbbe “semplicemente persone” che combattono per dei valori universali. Gli stessi valori che appartengono a tutti gli esseri umani. Quei valori che minano il regime al vertice dell’Iran. Quel regime che ha tenuto il proprio popolo per troppo tempo in un clima di repressione. Lo stesso regime che, aggrappandosi con autorità all’integralismo religioso, ha portato l’Iran a cavalcare l’età anagrafica del proprio popolo saccheggiando i traguardi raggiunti dalle battaglie dei diritti civili; sia globali sia degli iraniani stessi.

Farah Diba oggi vive tra Il Cairo, Parigi e gli Stati Uniti; si sposta poiché in esilio dal proprio paese. Ma in uno spezzone trasmesso dall’emittente nazionale per promuovere la programmazione serale Farah si augura che l’Iran possa ritornare quello che era un tempo. Quell’Iran che esisteva e si inseriva perfettamente nel contesto di progresso prima della rivoluzione islamica. Quando le donne avevano libero accesso all’istruzione. Quando la parola delle donne non era accostabile al termine “tolleranza”.

Se non provoca scalpore la parola di una sovrana in esilio allora forse qualcosa dovrebbe suscitare la reazione di Badri Hosseini Khamenei, moglie del dissidente Ali Moradkhani e sorella dell’ayatollah Khamenei (leader Supremo del regime). Una donna che seguendo l’occidentalissimo “verba volant scripta manent” si sente in dovere di dire la sua sulla rivoluzione che sta sconvolgendo l’Iran. Attraverso una lettera Badri accusa il fratello: “Sto con le madri in lutto e le donne iraniane. Le guardie rivoluzionarie e i mercenari di Ali Khamenei depongano le armi e si uniscano al popolo, prima che sia troppo tardi”.

A quanto pare il leader Supremo una volta raggiunto l’apice del potere ha deciso di proseguire sul tracciato di Khomeini; una strada, a raccontarlo è la storia, solcata dalle soppressioni e dalle uccisioni di persone innocenti. Quanto è forte il diritto alla libertà? Tanto da far interrompere un legame di sangue. La scelta intrapresa dall’ayatollah ha creato una rottura tale da spingere Badri a chiudere definitivamente il rapporto.

E come nelle ripicche proprie dei “parenti serpenti” arriva l’arresto di Farideh Moradkhani, figlia di Badri e nipote del leader. Il motivo? Ad oggi quello tipico e ricorrente “partecipava alle proteste in corso in Iran”.

Qualcuno potrebbe essere spinto a pensare che quanto accade in Iran sia circoscritto nei confini del paese, ma la resistenza e l’importanza del fermento riflettono anche in occidente. Tanto da far scaturire minacce al vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, accusando lei e tutto l’occidente di ipocrisia. La causa scatenante? Un tweet.

«Mohsen Shekar, uno dei ragazzi arrestati durante le proteste in Iran, è stato impiccato stamattina. È la prima folle sentenza di morte eseguita per un manifestante in Iran. Ci troverete dalla parte della libertà, dalla parte dei manifestanti. Sempre».

La speranza che rimane è la stessa di Badri Hosseini Khamenei, quella di vedere presto una vittoria del popolo iraniano e la caduta della tirannia che governa l’Iran. Ma nel caso in cui gli esempi portati da persone legate ad alte cariche istituzionali non siano abbastanza basterebbe guardare l’ultimo post di Afshin Ismaeli (giornalista Aftenposten) su Instagram. Il pianto di una madre, di una qualsiasi madre, mette in soggezione anche l’impulso più semplice e in voga della generazione Z, quello di mettere un like.