Economia

Usa, fallita una terza banca. La Fed interviene ma non cambia politica

03
Maggio 2023
Di Giampiero Cinelli

Gli Usa vedono fallita la terza banca nel giro di quasi due mesi. Si tratta della First Republic Bank, che va ad aggiungersi alla Silicon Valley Bank e alla Signature Bank. Nasdaq e Dow Jones aprono anche oggi in rosso e le quotazioni di svariate banche crollano. Nonostante ciò si respira un’atmosfera abbastanza calma. Primo, perché la Fed è subito intervenuta, favorendo il trasferimento dei depositi (103,9 miliardi) e della maggior parte delle attività (229,1 miliardi) alla JP Morgan Chase, secondo perché questa banca ha caratteristiche simili a quelle delle altre due, cioè deteneva in gran parte depositi di aziende, è di medie dimensioni e non rappresenterebbe un rischio sistemico.

Cosa è successo

Ovviamente non basta a rassicurare investitori e cittadini, che temono altre difficoltà e sono preoccupati per i loro conti. Tuttavia la strategia di Washington, a differenza di come andò nel 2008, è assicurare i depositi e in questo caso il rimborso dei correntisti di First Republic Bank non è neppure garantito, trattandosi di depositi di aziende ben oltre la soglia stabilita dalla legge per la garanzia. La causa del crack comunque segue le stesse dinamiche degli istituti caduti precedentemente, ovvero un progressivo ritiro del denaro da parte dei clienti, che notavano aumentare il costo dei prestiti, connesso a un aumento dei costi di finanziamento per la banca, la quale avrebbe dovuto emettere obbligazioni offrendo rendimenti più alti e invece subiva la continua svalutazione dei suoi titoli. Sullo sfondo la chiave che innesca gli squilibri è l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, che ha portato il prezzo del denaro tra il 4,5 e il 4,7% e già ha annunciato altre strette nella prossima riunione di oggi e a giugno. La stessa cosa si appresta a fare la Banca Centrale Europea. Ma Jerome Powell aveva anche fatto intendere che a giugno gli aumenti dovrebbero arrestarsi.

La situazione macroeconomica

Continuare a combattere l’inflazione dunque, senza avere fretta di allentare, in un contesto dove chi può tende a spostare le proprie risorse altrove, quando non trova più conveniente tenerle dove sono. La scelta di disimpegnare il denaro, soprattutto da parte delle aziende, nasce anche dalla sproporzione venutasi a creare tra gli interessi goduti sui depositi e gli interessi pagati sui prestiti. In Eurozona, ad esempio, il tasso sui depositi bancari è salito dallo 0,33% del marzo 2021 allo 0,61% del febbraio scorso. Parallelamente però i tassi sui crediti sono saliti fino al 3,81% del marzo scorso. Siamo chiaramente davanti a una condizione in cui a guadagnarci sono le banche rispetto ai loro clienti. Clienti che quindi scelgono facili remunerazioni del loro denaro attraverso le obbligazioni statali (il Btp decennale è ora intorno al 3,8% di rendimento). A discapito però degli investimenti sui titoli obbligazionari delle banche stesse, che sono meno facilmente liquidabili.

Le aspettative

Abbiamo preso come modello l’Europa, dove in vero la fuga di capitali è un rischio molto meno concreto e dove le avvisaglie di crack bancari ad oggi non circolano, ma questo ci è utile per spiegare anche quello che succede in America e farci un’idea dell’andazzo dei prossimi tempi. Siccome sia Powell che Lagarde sono convinti nel proseguire la strada del denaro non più a basso costo e allo stesso tempo dichiarano finita la stagione delle enorme immissioni di liquidità. che se hanno tenuto a galla un tessuto produttivo affaticato e rallentato, ma hanno però anche creato le bolle speculative a cui oggi sono costretti a mettere toppe. E se ce ne sarà bisogno, come stanno già facendo, interverranno per limitare i danni e scongiurare una nuova crisi finanziaria globale. Considerare i rischi e agire simultaneamente, pur di portare avanti la politica monetaria.

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