Economia

È giunta l’ora del dollaro?

25
Aprile 2023
Di Francesco Tedeschi

Si fa un gran parlare di “de-dollarizzazione” del sistema finanziario mondiale, complice la guerra in Ucraina e il conseguente insorgere di blocchi contrapposti a livello geopolitico. Si veda ad esempio il discorso delle sanzioni alla Russia, che l’hanno di fatto isolata dal punto di vista finanziario dal sistema economico finanziario occidentale. Tuttavia sono anni che si parla di un dollaro meno forte sui mercati globali, eppure ogni volta che sembrano esserci le circostanze per cui questo si realizza alla fine ogni occasione pare sfumata. Come dimostra molto bene il rally del dollaro sulle altre valute avvenuto lo scorso settembre. Eppure a guardare bene qualcosa sta accadendo, per cui vale la pena fermarsi un attimo e prestare attenzione a ciò che avviene.

La scorsa settimana ad esempio Janet Yellen, il segretario al tesoro degli Stati Uniti, lo ha detto chiaramente: le sanzioni alla Russia rischiano di minare l’egemonia del dollaro, perché favoriscono la creazione di un sistema finanziario parallelo e autonomo rispetto al dollaro e all’euro. Questo poi è visibile anche in ciò che avviene a livello geopolitico, la Tunisia, ad esempio, settimana scorsa ha rinunciato al prestito offerto dal FMI e ha invece manifestato interesse nell’adesione ai BRICS. Stessa cosa è successa a diversi stati africani che subendo l’influenza cinese e russa stanno facendo richiesta per aderire ad un sistema economico e finanziario diverso da quello occidentale.

E in questo senso dobbiamo prestare attenzione, perché il sistema economico dei BRICS si appoggia principalmente al mercato delle commodities, alle materie prime e al mercato dell’energia. Tutti elementi che nell’ultimo periodo hanno pesantemente influenzato l’economia globale ad est come ad ovest. Basti pensare che la Cina detiene il 90 per cento del mercato delle terre rare, ovvero tutte quelle materie così essenziali per il mercato dell’elettronica. E le stesse fabbriche della Apple sono locate per la maggior parte in Cina. Tant’è che l’azienda di Cupertino sta già mettendo le mani avanti e ricolando parte della produzione in altri paesi del Sud asiatico. O basti pensare agli investimenti in Brasile di un colosso bancario come BNP Paribas che negli ultimi 10 anni ha investito circa mezzo miliardo di euro in attività connesse alla coltivazione della soia.

E in questo senso, soprattutto di fronte alla carenza di materie prime che ha colpito l’occidente come il resto del mondo l’anno scorso, bisogna prestare attenzione. Anche l’attuale sistema bancario e finanziario occidentale ha manifestato diversi scricchiolii negli ultimi mesi. Basti pensare alla fallimento delle banche americane o all’acquisizione di Credit Suisse. Poi chiaramente i problemi della banca ginevrina arrivavano da più lontano. Tuttavia la difficile congiuntura a livello economico permane, nonostante le stime inflazionistiche per il mese di marzo si confermino al ribasso, il cosiddetto carrello della spesa – ovvero una lista di beni ritenuti essenziali per i consumatori – si registra un aumento che si attesta complessivamente al 12 per cento in più rispetto all’anno scorso.

Inoltre la stessa tenuta del sistema bancario sembra subire lo stesso modello di business sul quale è stata costruita. Nonostante lo stesso AD di Morgan Stanley abbia sentito il dovere di uscire con una dichiarazione in cui conferma che non esiste una crisi bancaria a livello americano, c’è chi si chiede effettivamente quante delle banche americane siano insolventi. Come l’economista americano Lawrence Kotlikoff, il quale ha risposto che potenzialmente potrebbero esserle tutte.

Dall’altra parte c’è anche una sorta di revival nell’economia cinese, e chiaramente se cresce la Cina cresce anche il resto dell’economia. E in particolare chi fa affari con il colosso asiatico. E in questo senso c’è da chiedersi: è giunta l’ora del dollaro?

Se guardiamo al mercato dei bond allo stato attuale stati sovrani e multinazionali non esistano a scegliere tra euro e dollaro: che catturano più dell’85% del mercato primario dei bond mondiali. Tutte le altre divise, incluso il renmimbi, persuadono emittenti per meno del 14% del totale alla fine del 2022. Per cui verrà un giorno in cui lo strapotere del dollaro sarà ridimensionato. Ma quel giorno non sarà né domani né tantomeno dopodomani.