Economia

Recovery Fund: senso unico per gli investimenti in innovazione

03
Settembre 2020
Di Redazione

La crisi economica provocata dal Covid è strutturalmente diversa da qualunque altra perché globalmente simmetrica: tutti gli Stati hanno dovuto far fronte a spese impreviste di dimensioni eccezionali e ciò ha determinato una crescita esponenziale indistinta di tutti i debiti pubblici, avvicinando le posizioni di Paesi in precedenza molto distanti. L’Italia, è cosa nota, da anni riveste il poco onorevole ruolo di Paese con uno dei più alti debiti al mondo, avendo superato ad agosto la cifra monstre di 2.5 mila miliardi di euro e con la previsione di raggiungere nel 2020 un rapporto debito pubblico – PIL pari al 159%. Se però finora eravamo in scarsa compagnia, da quest’anno faremo parte di un nutrito gruppo di Stati, visto che la media dell’Area Euro arriverà a fine 2020 a quota 102,7%.

Pertanto, a fronte di un aumento generalizzato e dunque simmetrico del debito, ciò che farà la vera differenza sarà l’uso delle risorse a disposizione nella lunga fase della ripresa economica. Il Governo ha già varato provvedimenti per complessivi 100 miliardi, ma tutto è stato fatto – inevitabilmente – nell’ottica di tamponare l’emergenza e tentare di ridare ossigeno ad alcuni settori produttivi. Ed è in questo contesto, adesso, che si apre la sfida più importante per la ripresa: l’uso efficace delle risorse del Recovery Fund.

Trascorso infatti un quasi festivo mese di agosto, durante il quale solo l’instancabile Ministro delle Politiche Europee Enzo Amendola sembra aver lavorato quotidianamente al cd. Piano italiano per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), si apre per il Governo italiano una breve finestra temporale di importanza strategica, che vale economicamente 209 miliardi di euro e politicamente la considerazione dell’Italia in Europa. È una sfida che richiede visione di lungo periodo ma anche una generale capacità di gestione di fondi europei, ambito nel quale non sempre il nostro Stato ha dimostrato di essere all’altezza. Eppure, non esistono piani B, la sfida deve necessariamente essere vinta perché il risultato influenzerà per gli anni a venire la percezione che l’Europa e gli investitori internazionali avranno dell’Italia.

Sembra che in poche settimane siano stati preliminarmente selezionati oltre 500 progetti di politica economica e fiscale da sottoporre per il finanziamento al vaglio delle istituzioni europee. Ma è proprio questa la vera sfida: il Governo deve fare delle scelte oggettive. L’enorme somma di 209 miliardi sollecita infatti le fantasie e gli interessi di tanti (di troppi!), ma non bisogna commettere l’errore di disperdere queste risorse in mille piccoli rivoli inefficaci. Le risorse devono essere necessariamente indirizzate verso quei settori che possono attivare un moltiplicatore positivo per la crescita del Paese, con ritorni crescenti sia in termini di posti di lavoro sia di aumento del PIL e quindi di gettito per le casse dello Stato, che ben presto si troverà costretto a dover mettere in piedi un piano per il rientro del debito. E dunque la scelta è quasi forzata: investire in innovazione e dunque – in concreto – in strumenti in grado ammodernare i processi produttivi delle aziende, migliorare le tecnologie della pubblica amministrazione e, non da ultimo, facilitare la vita dei cittadini grazie a un incremento delle loro dotazioni digitali e un miglioramento delle loro competenze nell’utilizzo delle stesse. Solo così avremo l’opportunità di creare una nuova Italia 5.0. che nella ripresa post pandemica possa competere con piena dignità con gli altri mercati globali. È proprio per questa sua connaturata trasversalità che l’innovazione dovrebbe assurgere a parametro guida di tutte le scelte che verranno fatte dalla politica nell’utilizzo delle risorse del Recovery Fund. In tal senso è auspicabile che il Governo riesca a modulare efficacemente tanto gli interventi diretti, come ad esempio i piani per il completamento della infrastruttura in banda ultralarga nelle “aree grigie”, quanto quelli indiretti, come gli incentivi fiscali per la digitalizzazione delle imprese e dei lavoratori. Si pensi in tal senso a quanto valore produrrebbe un incentivo fiscale per l’ammodernamento delle dotazioni tecnologiche delle aziende ma anche per il cd. upskilling e reskilling dei lavoratori, per una loro formazione più in linea con il nuovo mondo digitale che il Covid ci ha consegnato.

Gli effetti positivi sarebbero non solo economici ma anche sociali e ambientali. L’obiettivo di una produzione più green e sostenibile – altro elemento cardine di sviluppo – si può infatti perseguire solamente consentendo alle aziende di lavorare con strumenti più moderni; così come la riduzione del digital divide – e dunque la possibilità che anche le zone tecnologicamente più arretrate del Paese possano contribuire alla ripresa – si potrà ottenere solamente garantendo in tutte le aree un pieno sviluppo del 5G (con buona pace dei complottisti terrapiattisti), consentendo ad ogni cittadino di avere a disposizione gli strumenti tecnologici più opportuni, anche per accedere ai servizi che la nuova pubblica amministrazione 5.0 potrebbe erogare in modo fully digital.

L’auspicio è quindi che il Governo abbia la forza di fare delle scelte coraggiose, che diano un indirizzo coerente alle risorse a disposizione. Tra disperdere e valorizzare l’occasione storica del Recovery Fund il confine sarà purtroppo molto labile. 

 

Giampiero Zurlo

Presidente UTOPIA – Public, Media & Legal Affairs

 

 

 

 

 

 

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