Economia

Metalmeccanica col segno meno, lo zampino dei dazi

12
Settembre 2025
Di Giuliana Mastri

Nel primo semestre 2025 la metalmeccanica italiana archivia un bilancio negativo. Secondo l’indagine congiunturale di Federmeccanica, la produzione ha registrato un calo medio del 4,3% rispetto allo stesso periodo del 2024, una flessione più accentuata rispetto all’intero comparto industriale (-2,8%). Tutti i settori hanno segnato arretramenti: particolarmente pesante quello di autoveicoli e rimorchi (-18,7%). Fanno eccezione soltanto la metallurgia (+0,7%) e il comparto “altri mezzi di trasporto” (+0,2%), che mostrano lievi incrementi. Nel secondo trimestre si rileva un lieve rimbalzo congiunturale (+0,5%), ma il confronto con l’anno precedente resta negativo (-2,8%).

Anche le esportazioni non reggono: -0,5% nel complesso del semestre, con flessioni sia verso l’Unione europea (-0,4%) sia verso i mercati extra-Ue (-0,6%). Particolarmente marcata la discesa delle vendite negli Stati Uniti (-6,1%), penalizzate dal nuovo contesto protezionistico. Ben l’83% delle imprese percepisce rischi legati ai dazi: il 32% teme di perdere quote di export, il 25% segnala problemi di approvvigionamento e il 21% evidenzia una maggiore pressione competitiva in Europa.

La vicepresidente di Federmeccanica, Alessia Miotto, ha ribadito che “anche un solo punto percentuale di dazi è eccessivo”, soprattutto in un settore già caratterizzato da bassa produttività, margini risicati e costi energetici e del lavoro superiori alla media europea. Il pericolo, ha avvertito, è la perdita di intere filiere orientate all’export.

Sul fronte della domanda, il 24% delle aziende segnala una contrazione degli ordini e il 25% prevede una riduzione della produzione. Le principali criticità restano legate al costo delle materie prime e dell’energia, seguite dall’incertezza del quadro macroeconomico globale.

Il direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, descrive la situazione con poche luci e molte ombre: oggi produrre costa circa il 20% in più rispetto a pochi anni fa, un aumento divenuto strutturale che, unito alla scarsa redditività, mette a dura prova la competitività della metalmeccanica italiana.