Economia

Manifattura, la fotografia di Confindustria: competitività, export e il nodo energia

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Novembre 2025
Di Ilaria Donatio

La manifattura italiana resta un pilastro dell’economia nazionale e difende un ruolo di primo piano anche a livello internazionale. È l’ottava al mondo e la seconda in Europa, genera il 15 per cento del Pil – quota che raddoppia con l’indotto – e concentra quasi la metà degli investimenti in ricerca e sviluppo del Paese. È l’immagine tracciata dal Rapporto Industria 2025 del Centro studi di Confindustria, che descrive un settore in trasformazione profonda, tra nodi strutturali e punti di forza che continuano a sostenere export, occupazione e innovazione.

Il quadro congiunturale resta fragile. La produzione industriale ha recuperato terreno nel 2025 dopo i cali degli anni precedenti, pur restando sotto i livelli del 2019. Nei primi nove mesi dell’anno la variazione è stata negativa dello 0,9 per cento ma migliore rispetto al crollo del 2024. La frenata non ha però intaccato l’occupazione: due imprese su tre segnalano un calo della produzione senza riduzioni di personale. Incidono la cassa integrazione, l’attesa di un recupero della domanda, la crescente difficoltà nel reperire manodopera qualificata e la necessità di trattenere competenze interne mentre avanzano nuovi prodotti e nuove tecnologie. Il mismatch tra domanda e offerta è strutturale: oltre il 76 per cento delle manifatture con ricerche aperte segnala difficoltà, con picchi in elettronica e meccanica strumentale.

Resta debole la produttività, cresciuta molto meno rispetto ai principali concorrenti. La manifattura ha comunque performato meglio del resto dell’economia e dal 2015 ha avviato un percorso di convergenza con Francia e Germania grazie alla riallocazione delle risorse verso le imprese più efficienti e al recupero della produttività totale dei fattori. Permane però il fenomeno dell’occupazione senza crescita, che spinge verso il basso la produttività oraria in presenza di una produzione stagnante.

Il tema della dimensione aziendale resta una criticità. Le micro imprese in Italia pesano più che altrove e generano il 10 per cento del valore aggiunto manifatturiero, contro quote molto inferiori in Francia e Germania. Allo stesso tempo, però, il tessuto produttivo sta cambiando: negli ultimi dieci anni le micro sono diminuite di quasi il 12 per cento e le grandi imprese si sono rafforzate. A parità di condizioni, le medie e grandi aziende italiane risultano più produttive delle omologhe tedesche, francesi e spagnole, mentre le piccole restano seconde solo a quelle tedesche.

Sul lato estero il quadro è nettamente più positivo. La manifattura vale oltre il 95 per cento dell’export nazionale e genera un surplus commerciale di circa 120 miliardi all’anno. La meccanica strumentale produce da sola metà dell’avanzo. Il settore mostra inoltre un’elevata diversificazione e tra il 2015 e il 2024 le vendite all’estero dei manufatti italiani sono cresciute del 2,4 per cento medio annuo, molto più di Francia e Germania.

Sul fronte finanziario le imprese appaiono più solide. La capitalizzazione è aumentata, l’indebitamento è sceso dal 100 per cento del valore aggiunto del 2011 al 56 per cento del 2024 e la quota dei prestiti bancari continua a ridursi. Questo rafforzamento migliora resilienza e capacità di investimento, anche se permane un ritardo sugli investimenti immateriali, mentre quelli materiali restano elevati e superiori ai livelli di Francia e Germania.

Il nodo più critico resta l’energia. Lo shock dei prezzi ha colpito l’Italia più di tutti i principali partner europei e l’incidenza dei costi energetici sui costi di produzione resta superiore ai livelli pre-pandemia, mentre la Francia ha quasi riassorbito l’impatto. I settori energy intensive – dalla metallurgia alla ceramica, dal vetro alla gomma-plastica – sono quelli che hanno subito i rincari più pesanti.

Il Rapporto Industria 2025 conferma così un quadro fatto di luci e ombre. La manifattura italiana conserva qualità, apertura ai mercati e una crescente solidità finanziaria, ma deve affrontare lo snodo della transizione tecnologica, della scarsità di competenze e del costo dell’energia. Ed è su questo terreno che si giocherà la risposta alla domanda centrale del rapporto: la manifattura italiana rimarrà competitiva?