Economia

Inflazione Usa Ue a confronto. Le probabili mosse della BCE

07
Settembre 2022
Di Vanessa Gloria

Negli ultimi mesi l’inflazione ha subito una corsa al rialzo sia in Europa, sia negli Stati Uniti, tanto da raggiungere oltreoceano valori intorno al 9.2% tra i mesi di aprile e luglio 2022, ma che già sembrerebbero in discesa, come conseguenza dell’inasprimento della politica monetaria condotta dalla Fed, tesa a perseguire, in questi mesi, un deciso aumento dei tassi di interesse. Una scelta che sembrerebbe avere dato i suoi frutti: negli Stati Uniti, infatti, a luglio l’indice generale dei prezzi al consumo non è aumentato e l’indice di “core inflation” (ossia quello dei prezzi al consumo depurato dai prezzi dell’energia e degli alimentari) è rimasto al 5,9% il più basso degli ultimi sei mesi. Inoltre, dopo più di un anno di dibattiti e di confronto tra Capitol Hill e la Casa Bianca, il presidente Joe Biden ha firmato l’Inflation Reduction Act che ora è legge federale. Infine, proprio mentre l’inflazione si stabilizzava e dava segni di non crescere, l’economia americana ha creato 530.000 posti di lavoro.

Si tratta tuttavia, di uno scenario decisamente diverso da quello europeo. Sempre più esperti ritengono che l’Eurozona stia registrando un’inflazione, ma dal lato dell’offerta. In sostanza si tratterebbe di un’inflazione che sconta un aumento sempre più insistente dei costi come quelli legati all’aumento del prezzo del gas e non dovuta principalmente a un surriscaldamento di un’economia in crescita che genera nuovi posti di lavoro e dove il prezzo di beni e servizi cresce perché aumenta la domanda.

Basti pensare che monitorando l’inflazione di fondo, che si ottiene scorporando l’inflazione complessiva, dalla componente più volatile dei prezzi, l’inflazione di fondo nell’area dell’euro è pari al 5%, contro un dato complessivo dell’8,9%; negli Stati Uniti l’inflazione di fondo è pari al 7,2%, a fronte di un dato complessivo del 9,1%.

E proprio in questo scenario, la BCE sta cercando di risolvere il dilemma, tra la linea dura orientata puramente a contrastare l’inflazione e quella più morbida che prevede un aumento meno repentino dei tassi di interesse. In realtà, stando a quanto riportato da Teleborsa la BCE dovrebbe sposare la linea più dura, annunciando giovedì prossimo un aumento dei tassi di interesse di 75 punti base, il più ampio effettuato sinora.

Infatti, secondo la banca d’affari Goldman Sachs il quadro dell’inflazione è peggiorato dal meeting di luglio, ed è quindi probabile che le nuove proiezioni di Francoforte opereranno un grosso aggiustamento al rialzo delle previsioni sul 2022-2023, mentre saranno tagliate “nettamente” le previsioni di crescita, alla luce del rallentamento dello slancio e della crisi energetica in corso. Inoltre, i commenti recenti di Isabel Schnabel, che a Jackson Hole ha detto che occorre “agire con forza” per riportare “rapidamente” l’inflazione sul target sembrano anticipare una mossa di questo tipo.

Resta però da capire se un rialzo di 75 punti base, non possa deprimere ulteriormente un’economia fragile come quella europea, che già da segni di recessione e su cui grava una pesante crisi energetica. Frammentandola. E dove per la prima volta dopo vent’anni lunedì 5 settembre la moneta unica europea è scivolata a 0,9877 dollari, il livello più basso dal 2002.  A questo si aggiungono i timori per i Paesi con un alto livello indebitamento come l’Italia, per i quali gli investitori potrebbero così manifestare preoccupazione circa la sostenibilità dei titoli sovrani. In quel caso la BCE, lo scorso 21 luglio, si è resa pronta a utilizzare il TPI Transmission Protection Instrument), lo strumento di protezione del meccanismo di trasmissione della politica monetaria: staremo a vedere.

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