Economia

Inflazione, Bce e Fed allineate ma non troppo sulle strategie

26
Aprile 2022
Di Giampiero Cinelli

Il quadro economico internazionale è mutato. Gli squilibri causati dalla pandemia prima e dalla guerra ora hanno riesumato uno spauracchio che non si vedeva da tempo: l’inflazione. Tra Usa ed Europa, però, le scelte di politica monetaria recano delle differenze. Nonostante i livelli di inflazione siano rilevanti e similari.

Mentre entrambi stanno riducendo il portafoglio dei titoli, Il governatore della Fed Jerome Powell ha alzato i tassi d’interesse già a marzo. Portandoli a 0,25%-0,50%. Un altro intervento è atteso a maggio, non escludendo la possibilità di arrivare anche al 2,5-3% del costo del denaro. Necessario per smorzare l’aumento del livello dei prezzi. Anche la Bce è pronta il prossimo mese a un rialzo dei tassi di interesse di uno 0,5%, annunciato da Christine Lagarde. Ma il percorso dovrebbe essere più moderato rispetto a quello della Fed e non è scontato che si opereranno aumenti progressivi come quelli programmati oltreoceano. Come mai, nonostante anche in Europa l’inflazione si aggiri attorno all’8%?

Per capirlo dobbiamo guardare ai costi di approvvigionamento energetico. Che per l’industria del Continente pesano molto di più, vista una minore autonomia sulle fonti fossili di gas e petrolio. Ecco perché l’istituto di Francoforte valuta che una stretta eccessiva del credito potrebbe paralizzare il sistema e, paradossalmente, è disposta a drenare la liquidità con minore decisione, a patto che le aziende possano ancora accedere ai prestiti, fondamentali in un periodo difficile come questo. Attualmente nell’eurozona il tasso di rifinanziamento principale (per le banche private) è fermo allo 0,00%, quello di rifinanziamento marginale allo 0,25% e il tasso sui depositi presso la Banca Centrale è negativo a -0,50%. Inoltre fino al 2024 il capitale rimborsato degli acquisti dei titoli sarà reinvestito.

Per l’Italia la prospettiva non è affatto rosea ma questa direttrice potrebbe rappresentare il male minore, considerando che storicamente il nostro Paese è più vulnerabile all’inflazione rispetto ad altri, complice anche una minore produttività. Openpolis ha infatti stimato che in Italia l’aumento tendenziale dell’inflazione sia stato più marcato rispetto ai principali competitor, con un +6,20% a febbraio 2021, rispetto al +5,50% e 4,10% di rispettivamente Germania e Francia. L’aumento dei prezzi dunque sarà affrontato prevalentemente tentando di porre un tetto, in attesa della discesa e contando sul supporto bancario. In estrema sintesi, tra l’inflazione e la stagnazione, bisogna scegliere uno dei due mali. Perché l’epoca della stagflazione, negli anni ’70, è un’esperienza che nessuno vuole ripetere. L’economista Giulio Sapelli è certo che le sanzioni alla Russia sono molto rischiose economicamente anche per gli americani, ma vede nel private equity uno strumento facilitatore riguardo alla liquidità che serve alle attività produttive. Una prassi negli States, uno strumento invece molto meno affermato in Europa. La ripresa dunque rischia di rivelarsi una chimera e la situazione peggiore si presenterà per il settore manifatturiero. Ecco perché puntare meno sull’export, siccome i prodotti inglobano l’inflazione nel prezzo finale e perdono competitività, orientando le vendite su un mercato interno calmierato dall’intervento pubblico, è una contromisura da valutare.