Economia

Celeste in audizione: “Gli interessi Usa non cambiano, con Biden cambia il metodo”

18
Febbraio 2021
Di Flavia Iannilli

Prima dell’emergenza sanitaria il commercio internazionale era già in una fase difficile. Oggi acuita dalla pandemia con l’interruzione delle catene di fornitura globali e la riduzione sia di domanda che di offerta dei beni a causa delle misure adottate per contenere la diffusione del virus.

Secondo il Direttore Generale del MAECI per l’Unione Europea, Ambasciatore Vincenzo Celeste, per evitare che lo shock economico conduca a distorsioni commerciali maggiori, c’è bisogno di un coordinamento internazionale. Il problema iniziale era dato da un sistema multilaterale “inceppato” da regole che, non essendo più attuali, continuavano a far rispettare il principio del trattamento speciale differenziato. Dinamiche che creano una asimmetria sostanziale a vantaggio dei “Paesi in via di Sviluppo”. Un beneficio di cui ancora si avvalgono Stati che non dovrebbero più far parte della categoria, come Cina, India e Brasile.

La distorsione non ha potuto contare negli ultimi anni sull’aiuto dell’amministrazione USA, che piuttosto alimentava tale crisi con un approccio unilaterale o con un bilateralismo selettivo. Inoltre le regole che sono ancora in vigore oggi non possono contrastare le disparità interne al mercato causate da Paesi che non rispettano la parità di condizioni o non disciplinano l’e-commerce, gli investimenti e i rapporti tra sviluppo sostenibile e commercio.

Sugli status preferenziali dei Paesi in via di sviluppo l’Onorevole Quartapelle (PD) ha chiesto: “E’ difficile fare regole in corsa per una situazione che si è sviluppata rapidamente. Che probabilità c’è di recuperare una dinamica multilaterale o quanto questo bilateralismo selettivo portato avanti da Trump rischia di rimanere il paradigma nel quale ci si può muovere?” La differenza, secondo Celeste, è il cambio di metodologia degli Stati Uniti nel perseguire i propri interessi. Poi precisa: “Noi ci aspettiamo un cambio di approccio. Ue e Usa non sono più avversari, ma partner commerciali. Questo non vuol dire che risolveremo problemi come la Digital service tax, ma si possono creare le condizioni per poter individuare strade per poi arrivare a chiuderli.”

Sull’export Celeste spiega che l’Unione Europea ha “45 accordi in essere con 77 Paesi partner”. Nel 2019 il contributo di questo settore al Pil italiano è arrivato al 32%. Questi numeri sono una spinta per ricercare obiettivi negoziali proficui per l’Italia. Come? Il Direttore specifica: “Viene perseguito l’accesso più ampio possibile per i nostri beni, la limitazione di contingenti tariffari per i prodotti considerati sensibili, l’ingresso al mercato degli appalti pubblici per le nostre imprese e la tutela delle indicazioni geografiche”.

Durante l’audizione vengono menzionati gli accordi con Canada, Giappone e Vietnam. Nel primo caso l’accordo è del 2017 e si tratta di un accordo misto con applicazione provvisoria e con un interscambio cresciuto del 7,7% in quasi tutte le voci dell’export italiano. Quello col Giappone, in vigore dal 2019, ha un saldo positivo in crescita di quasi 1 miliardo di euro. Mentre quello col Vietnam può rappresentare un esempio da seguire per gli accordi che verranno con Paesi che non vengono più considerati “in via di sviluppo”, bensì emergenti.

Celeste si sofferma sui negoziati in corso tra Ue e Mercosur (Mercado Comùn del Sur), di cui fanno parte Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. “Questo accordo aprirà un mercato che ha i volumi 4 volte più elevati di quelli con il Giappone e 8 volte quelli con il Canada”, precisa il Direttore. Si tratta di Paesi che nelle esportazioni di prodotti agricoli rappresentano dei leader globali. L’accordo, che ha il testo in fase di traduzione e pulizia giuridica, al suo interno riporta un capitolo relativo al commercio e allo sviluppo sostenibile, in materia di lavoro, ambiente (nel rispetto degli Accordi di Parigi), e include i problemi legati alla deforestazione, in modo particolare quello riguardante l’Amazzonia che ha generato un grande dibattito internazionale. Celeste sottolinea: “Dombrovskis sta cercando di promuovere un’intesa complementare che possa confermare e dettagliare gli impegni in campo ambientale idonei a fornire delle risposte alle preoccupazioni dell’opinione pubblica. Il pilastro politico è volto a migliorare le relazioni politiche a fronte della concorrenza geopolitica cinese e americana”.

“Quali sono i punti delicati da indicare sui quali dovremmo attirare l’attenzione del commissario?” chiede l’Onorevole Valentini (FI). Secondo il Direttore ci sarà la necessità di stimolare Dombrovskis sull’attuazione degli accordi commerciali, sulla difesa commerciale dell’Ue e sul concetto di autonomia strategica. Inoltre non bisogna dimenticare la capacità dell’Ue di difendersi dalla iper dipendenza da alcuni Paesi, attraverso una diversificazione delle fonti di approvvigionamento e l’accorciamento delle catene di produzione.

“Last but not least” gli accordi settoriali con la Cina. C’è del potenziale nel migliorare gli accessi agli investitori europei all’interno del mercato cinese, usufruendo del diritto di investire direttamente nella Repubblica Popolare Cinese. La novità è che sono state accettate le condizioni relative allo sviluppo sostenibile, un traguardo difficile da raggiungere, soprattutto avendo la consapevolezza che gli accordi tra altri Paesi dell’area asiatica e la Cina non contengono riferimenti alla tutela ambientale e dei diritti del lavoro.

L’Onorevole Formentini (Lega), in proposito, chiede: “Che possibilità ci sono per ottenere una regolamentazione che non sia a favore dell’Occidente ma neanche a svantaggio, come con la Cina, sul piano geostrategico? Sembra che quel bilateralismo di cui era accusato Trump, che si vorrebbe superare a parole con Biden, di fatto venga applicato anche dall’Ue sfavorendo l’immagine del nostro Paese quando alla firma sono presenti esclusivamente Germania e Francia”. Celeste fa riferimento all’accordo concluso tra Usa e Cina e dichiara: “Potenzialmente penalizza l’Ue. Non ci nascondiamo: è stata una conclusione accelerata su pressione tedesca. Ma c’è anche un pregio: la stessa nuova amministrazione americana sta valutando di metterci su un piano di parità. Farà la differenza come ci rapporteremo con la Cina d’ora in poi e, sedendo dalla stessa parte del tavolo degli Usa, possiamo mettere sul piatto di averla spinta ad alcune concessioni che in precedenza non erano state date agli Stati Uniti.”

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