Cultura

La noia creativa: da Giacomo Leopardi ad Angelina Mango

18
Febbraio 2024
Di Ilaria Donatio

Diceva lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino: “L’unica forma di felicità che conosco è la noia“. Altro che “senso di insoddisfazione che proviene dalla mancanza di attività e dall’ozio”, come si legge sulla Treccani.

E, storicamente, la ricca elaborazione letteraria e filosofica della noia dà ragione a Bufalino: probabilmente, accanto all’amore e al la morte, il concetto più frequentato nella storia speculativa di tutti i tempi.

“Penso che la noia sia essenziale e che quei momenti siano del tempo in più che abbiamo, non del tempo perso”. È stato sofisticato il commento con cui Angelina Mango ha cercato di restituire il senso della sua “La noia”, dopo aver conquistato – una settimana fa – il podio della kermesse musicale sanremese

A dispetto della sua giovane età, la cantante – che si è ispirata nei ritmi alla cumbia: un genere di musica, un canto e una danza popolare colombiana e panamense – sembrerebbe, così, smentire la stessa idea contemporanea di tempo. Come spazio da riempire a tutti i costi, come movimento perenne per non affondare nelle sabbie mobili della noia. Oggi, vera nevrosi collettiva nata dal terrore  dell’inazione.

Ma già Seneca nel “De tranquillitate animi” parla di un “insensato attivismo” che non fa altro che rendere l’uomo ancora più inquieto e consapevole dei suoi fallimenti. 

Ma che l’infelicità dell’uomo sia semplicemente “quella di non riuscire a starsene tranquilli in una stanza”, lo scriveva compiutamente Pascal nei “Pensieri“, verso la metà del 1600. 

Mentre in una lettera del 1817, indirizzata al letterato Pietro Giordani, Giacomo Leopardi riconosceva in questo sentimento che chiama il “vizio dell’absence”, un suo difetto, una malattia spirituale che lo porta a non saper accettare il mondo così com’è nella sua mediocrità.

Impossibile, infine, non citare “La noia, l’opera in cui Alberto Moravia riprende i temi de “Gli indifferenti”, rappresentando lo sfacelo del mondo borghese: “Soprattutto quando ero bambino, la noia assumeva forme del tutto oscure a me stesso e agli altri, che io ero incapace di spiegare e che gli altri, nel caso di mia madre, attribuivano a disturbi della salute o altri simili cause”.

Ecco che – seppure attraverso filtri diversi, per cultura e sensibilità – ogni autore, immerso nel proprio tempo, declina la noia essenzialmente come critica a una condizione che non sente come autentica e verso cui sceglie di definirsi per contraddizione. 

La noia necessaria, dunque. Come tempo privilegiato per osservare, riflettere, immaginare, creare: da consacrare come vero e proprio diritto. Il diritto a un tempo vuoto, a uno spazio elastico che consenta di provare ad andare oltre. 

E non poteva mancare lo studio di un gruppo di ricercatori britannici, pubblicato sulla rivista della British Psychological Society: a 80 individui adulti, divisi in due gruppi, sono state date due tazze di polistirene ciascuno, chiedendo loro di pensare a tutti i possibili usi. A un gruppo è stato chiesto di svolgere un compito noioso per 15 minuti, al secondo no: è emerso che proprio quelli che si erano annoiati di più avevano anche avuto il maggior numero di idee. Il potere creativo della noia!

Ecco che i versi de “La noia” sanremese appaiono sensati: “Mi hanno detto che la vita è preziosa / Io la indosso a testa alta sul collo / La mia collana non ha perle di saggezza / A me hanno dato le perline colorate / Per le bimbe incasinate con i traumi / Da snodare piano piano con l’età / È la cumbia della noia”.

Forse, per sfuggire davvero alla noia, occorrerebbe restare fermi ad aspettare.

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