Cultura

Eugenio Scalfari, la sua impronta indelebile nella cultura e nel giornalismo

14
Luglio 2022
Di Giampiero Cinelli

«Ho avuto una vita non serena, ma fortunata e felice. Molte ansie e molti complessi di colpa, molta fiducia in me stesso, molto amore verso gli altri unito a un’intensa competitività. Ho dato molto amore e moltissimo ne ho ricevuto». Queste le parole di Eugenio Scalfari, in una delle ultime dichiarazioni, riportate da Repubblica. La sintesi di un’esistenza lunga e ricchissima, in cui storia personale e storiografia si intrecciano. Eugenio Scalfari, fondatore e direttore de l’Espresso e La Repubblica. Si è spento oggi a 98 anni. Era nato nel 1924 a Civitavecchia. Ha segnato un secolo di giornalismo italiano. Ha amato due donne e ha avuto due figlie: Enrica e Donata.

L’impronta di Eugenio Scalfari nella cultura italiana e più in particolare nell’editoria è indelebile e innegabile. Ha rappresentato uno dei punti di riferimento dell’area progressista, nel dopoguerra vicino al socialismo ma mai massimalista, critico verso il potere ma anche attratto dall’estetica del mondo borghese intellettuale, più tardi una voce negli anni del post Unione Sovietica e della globalizzazione, incarnando una visione più moderna della sinistra, meno ancorata ai vecchi pilastri teorici ma ancora decisa a esercitare un’autorità morale. Ha apprezzato Enrico Berlinguer (sua la pubblicazione della celebre intervista, a firma di Giampaolo Pansa, in cui il segretario del Pci fa riferimento alla “questione morale”), ha osteggiato Craxi e sostenuto De Mita, ha scritto contro l’entrata dell’Italia nello SME (Sistema Monetario Europeo) divenendo poi acceso sostenitore della moneta unica, è stato nemico dichiarato di Berlusconi. Recentemente ha riflettuto sui profondi cambiamenti della società interrogandosi sull’attuale stato della democrazia, sulla sostenibilità del modello repubblicano, sul populismo, non sempre raccogliendo consensi in certi ragionamenti. Ma Eugenio Scalfari non si è mai fatto dettare la linea da nessuno, e alla soglia dei cent’anni non aveva più paura di dire niente. Da laico si era avvicinato ai temi cattolici, costruendo un rapporto con Papa Francesco. Il Papa gesuita gli piaceva. Aveva spiegato che dopo una vita passata a occuparsi di quello che c’era all’esterno, aveva l’esigenza di ricercare dentro di lui.

Gli anni del fascismo e la scoperta del giornalismo

Nato nel 1924 a Civitavecchia, vive per un periodo a Sanremo. Alle scuole superiori si trova nella stessa classe di Italo Calvino. Tra di loro c’è un rapporto intellettuale stimolante e una curiosità umana reciproca. I due poi si riavvicineranno. Da giovane entra nei Guf, i gruppi universitari fascisti. Scrivendo e poi dirigendo il giornale Roma Fascista, legato ai Guf. Dalla testata viene allontanato per un suo pezzo sulla corruzione dei gerarchi. Forse è in quell’occasione che in Scalfari inizia la riflessione sul regime, che lo portò ad abbracciare posizioni radicalmente diverse. Della sua adesione al disegno di Mussolini parlò sempre senza remore, con tenerezza e auto-indulgenza, considerando la sua età di allora. Successivamente scrive per due importanti realtà editoriali come Il Mondo, settimanale fondato e diretto da Mario Pannunzio, tra i punti di riferimento giornalistici di Scalfari, e L’Europeo, dove tiene una rubrica in ambito economico. Proprio lui infatti può essere considerato il padre del giornalismo economico, inteso come un genere che si pone di trasmettere a un pubblico medio i meccanismi e le politiche della sfera economica con un linguaggio comprensibile e narrativo, scevro da tecnicismi. Ma le sue inchieste sugli illeciti di Federconsorzi non vengono gradite. Scalfari allora capisce che è tempo di trovare una sua indipendenza e di sviluppare un giornalismo meno abbottonato, capace di rivelare verità scomode.

L’Espresso

Nel 1955 allora fonda e dirige L’Espresso, con l’aiuto dell’editore Carlo Caracciolo e Arrigo Benedetti. Il settimanale politico, culturale ed economico ha un taglio molto coraggioso, volenteroso di scoprire le ingiustizie del sistema, con una chiara vocazione d’inchiesta. Un caso abbastanza singolare per il giornalismo dell’epoca. Che mette in imbarazzo perfino l’imprenditore più umanista Adriano Olivetti, il quale cede le sue quote della società editrice. L’Espresso sarà anche una fucina del pensiero, dando spazio a personaggi come Pasolini e Umberto Eco. Tante le inchieste di successo, come quella che svela i piani per un colpo di Stato da parte del generale dei Carabinieri Giovanni de Lorenzo, l’indagine sul caso Mattei, sul cosiddetto Golpe Borghese, sula pista nera nella strage di Piazza Fontana. Permangono però anche dei nei. Si ricorda infatti l’accusa che Scalfari fece al Commissario Luigi Calabresi sulla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli (Si scusò personalmente anni dopo con la vedova del Commissario) e la diffamazione della nota giornalista de L’Espresso Camilla Cederna ai danni di Enzo Tortora dopo il suo arresto (ma lì Scalfari non era direttore). Nel 1968 Eugenio Scalfari lascia la direzione de L’Espresso per approdare alla Camera con il Psi, partito col quale cinque anni prima era stato eletto consigliere comunale a Milano. Fu anche un modo per evitare il carcere dopo la querela fattagli da de Lorenzo, poi ritirata.

La Repubblica

Nel 1976 nasce il quotidiano La Repubblica. La testata si pone chiaramente a sinistra, in contrapposizione al conservatorismo de Il Giornale di Indro Montanelli e il moderatismo del Corriere. Ma ci tiene ad essere una voce autorevole, distante dalla stampa indipendente orbitante attorno al mondo della sinistra extra-parlamentare estremista. Tra le firme più prestigiose Giorgio Bocca, Natalia Aspesi, Barbara Spinelli e tanti altri. Le riunioni di redazione vengono ironicamente denominate “la messa cantata di Scalfari”, i suoi editoriali della domenica sempre lunghissimi. La Repubblica si afferma presto nel panorama mediatico. Si viene a sapere che Scalfari ha informatori di primissimo piano, tra cui Sandro Pertini, che spesso chiama il direttore al telefono. Durante la prigionia di Moro, circola una foto in cui l’esponente della Dc è in cella con in mano una copia della Repubblica. Tuttavia il giornale è spesso in difficoltà finanziaria. Negli anni ’80 chiede aiuto all’imprenditore Carlo De Benedetti che entra nella società e nel 1996 il quotidiano verrà salvato dal fallimento grazie a una cordata. Nello stesso anni Scalfari lascia la direzione. A lui subentra Ezio Mauro.

Berlusconi e gli ultimi anni

Con Silvio Berlusconi la contrapposizione è stata aperta e costante. particolarmente nell’ambito del Lodo Mondadori, in cui era coinvolto De Benedetti. In quei tempi La Repubblica diventa il punto di riferimento editoriale degli elettori di centrosinistra che si oppongono al Cavaliere. Ma l’ascesa di Forza Italia non viene prevista. Scalfari lo reputa un «partito di plastica». Più tardi la rottura con De Benedetti, che a differenza sua vedeva con fiducia il governo di Matteo Renzi. Troppo leaderistico per l’ex direttore. Poi quella frase spiazzante, in cui Scalfari afferma di preferire Berlusconi a Di Maio. Motivata con l’idea che il tempo delle classiche contrapposizioni sia finito e il Paese avesse problemi diversi da affrontare. Vicino alla morte lo ha consolato l’amicizia con il Papa. Che intervistò più di una volta e con cui si confrontava su politica e religione da ateo convinto. Proprio lui racconta che Bergoglio stesso non sperava in una sua conversione, e che simpaticamente gli disse di non convertirsi, perché era interessato a parlare con non credenti a cui piace Gesù.

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