Cultura
Dimore storiche, la bellezza diffusa che resiste (e chiede ascolto)
Di Ilaria Donatio
“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.” Così recita l’articolo 9 della Costituzione italiana. Ed è bene ricordare che tutela senza distinzione tra pubblico e privato. È su questo principio che poggia anche la storia delle dimore storiche italiane, un patrimonio straordinario di 43.757 beni privati, pari al 17% del patrimonio culturale nazionale. Un museo diffuso che non si limita alla bellezza: è presidio economico, leva turistica, infrastruttura civica. Eppure, resta ancora troppo poco riconosciuto e talvolta ostacolato.
Nel 2023, le dimore storiche private hanno accolto 34 milioni di visitatori, un numero impressionante se confrontato con i 57 milioni del sistema museale nazionale. Ma ciò che colpisce ancora di più è la loro capillarità territoriale: l’11% si trova nei comuni con meno di 2.000 abitanti, il 17% in quelli sotto i 5.000, e più della metà (54%) in centri con meno di 20.000 residenti. Una dimora su quattro è in contesto rurale. Numeri che raccontano un’Italia interna e periferica che resiste, produce, accoglie e crea valore.
È a questa Italia che guarda la XV Giornata Nazionale ADSI, in programma domenica 25 maggio: oltre 500 dimore tra castelli, ville, rocche, parchi e giardini apriranno le proprie porte gratuitamente, offrendo un viaggio nella storia e nella cultura del Paese. L’iniziativa è promossa dall’Associazione Dimore Storiche Italiane (ADSI), in collaborazione con FIDAM, Federmep e l’Associazione Nazionale Case della Memoria, con il patrocinio di ENIT, ANCI, UNESCO e Ministero della Cultura.
“Il patrimonio culturale privato in Italia rappresenta una risorsa fondamentale per lo sviluppo del Paese. Con oltre 43.000 dimore censite, il nostro è il più grande museo diffuso d’Italia, e racconta l’identità delle comunità locali” – afferma Giacomo di Thiene, presidente ADSI. “Questa giornata, giunta alla quindicesima edizione, non è solo una festa, ma un’occasione per far capire alle istituzioni e all’opinione pubblica l’impatto occupazionale, economico e culturale che questi beni generano sul territorio, valorizzando tradizioni, competenze, saperi artigiani. La nostra memoria è la chiave per un futuro sostenibile, e il capitale umano che ruota attorno a queste dimore va considerato un fattore strategico e aggiuntivo per la crescita”.
I numeri parlano chiaro: circa 20.000 dimore storiche private accolgono visitatori ogni anno, alimentando un ecosistema che coinvolge restauratori, tecnici, artigiani, giardinieri, guide turistiche e imprese locali. L’impatto si traduce anche nella diversificazione dei flussi turistici, intercettando il turismo di prossimità, cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni fino a raggiungere 34 milioni di visitatori annui. Una leva importante per contrastare lo spopolamento delle aree interne e rafforzare l’occupazione legata ai mestieri tradizionali.
Ma nonostante il valore culturale e la rilevanza economica, le dimore storiche devono ancora fare i conti con ostacoli strutturali, a partire dalla complessità burocratica. Ottenere autorizzazioni per lavori di manutenzione o valorizzazione spesso richiede tempi lunghi e competenze specialistiche. In questo quadro si inserisce il DDL Soprintendenze, attualmente in discussione al Senato, che punta a snellire le procedure ma rischia un effetto boomerang.
Il provvedimento, se approvato nella forma attuale, trasferirebbe le competenze paesaggistiche ai Comuni, molti dei quali – soprattutto nelle aree interne – sono privi delle risorse tecniche e umane per gestirle. In nome della semplificazione si rischia di indebolire la tutela, rendendo ancora più fragile un sistema già esposto a pressioni speculative e carenze strutturali.
La Giornata del 25 maggio non è dunque solo una festa aperta al pubblico, ma anche una dichiarazione di identità e responsabilità. Chi apre le porte della propria dimora storica lo fa anche per testimoniare un impegno quotidiano: quello di custodire un patrimonio collettivo, farlo vivere, e difenderlo da una modernizzazione distratta che troppo spesso dimentica le sue radici.
La bellezza non basta: va riconosciuta, sostenuta, messa in rete. Le dimore storiche sono una ricchezza per tutti. La politica – se vuole davvero ascoltare il Paese – dovrebbe cominciare da qui.

























